Avevo cominciato a preparare questo post con l’intenzione di sfogare un po’ di iroso scherno sulle ben note pubblicità con cui Alfonso Luigi Marra e sua figlia Caterina presentano La storia di Giovanni e Margherita. Il modo di formazione del pensiero, (1986, ripubblicato più volte, l’ultima nel 2009) e Manuela Arcuri Il labirinto femminile (2010). Piccole perle di grafica, recitazione, dizione, testualità, sceneggiatura, comunicazione. E un’occhiata a IBS non ha fatto che inasprire umori e ripugnanze. L’unico commento per il primo? «Un libro bellissimo. La storia di ognuno di noi per divulgare una scoperta. Una bellezza struggente. Un libro tabù di un uomo tabù. Il tutto sullo sfondo di una psicosi straordinariamente narrata. Cambiare è difficile perfino quando conviene.» Non occorre nemmeno una sinossi per capire chi sia l’autore del commento. La descrizione del secondo? «Un epistolario d’amore in sms imprevedibile, struggente, tra Luisa, giovane avvocatessa, e Paolo, il titolare del grande studio legale in cui lavora, che ha il doppio dei suoi anni ma è un genio interdetto a prendere in considerazione qualsiasi limite. 272 pagine di epistolario seguite da 78 di una straordinaria analisi per contribuire a liberare la coppia e la società dal dramma universale della concezione strategicoprevaricatoria dell'amore e delle relazioni umane in generale.» E figuratevi quando, per La storia, ho trovato, nella sua scheda personale su Macrolibrarsi, un’asserzione come «Una teoria che non ha bisogno di verifiche perché scritta in stile “autodimostrativo”, cioé dimostrata dalle parole stesse con le quali è svolta, ovvero assolutamente ovvia e formulata in maniera lucidissima». Arroganza delirante? Assolutamente no, come dimostra, questo altro stralcio: «Libri e documenti leggendo i quali, fra le tante sorprese, ci si accorge ad un certo punto che l’arte di cui le pagine sono pervase in una varietà di stili stupefacenti per bellezza e contenuti non è mai il suo obiettivo, ma solo lo strumento usato per condurre il lettore vittorioso attraverso le tematiche più complesse dello scibile senza quasi rendersene conto».
Qualche dubbio ho cominciato ad averlo leggendo le sue scuse all'Arcuri, che pochi probabilmente hanno letto per esteso. Un testo in cui è davvero difficile capire qualcosa (il silenzio che finalmente si è rotto, è quello dell’infame boicottaggio dopo il primo suo libro, o quello sacrale che, al parlamento europeo, lo accoglieva, lui solo, e non concesso nemmeno a Cristo sceso dalla croce, e che poi è lo stesso delle liriche albe venatorie sui monti della Sila?; e che accidenti è successo a Roma nell’anno zero?; chi ha paura di essere decifrata?). In realtà mi è stato difficile non provare un certo disagio, leggendo una frase come «Tu però stai tranquilla: dalla mia sella, quando – ormai in breve – tornerò dalla caccia nella ‘selva’ questa volta orrida della confusione e del malessere nei quali è precipitata la società, penderanno appese per i capelli le teste, non certo degli stupidi e dei pazzi, ma della stupidità e della pazzia che li tormentano». E ti passa la voglia di ridere quando leggi questa raccomandazione all’Arcuri: «Né ti consiglierei di cercare tu di affrontarli, convincerli o cambiarli perché è troppo difficile, oltre che pericoloso, visto che, se non è bastata a cambiarli la convenienza che avrebbero a diventare migliori, è segno ci vuole uno sforzo al quale ciascuno può contribuire, ma che solo io sono obbligato a fare perché – non è supponenza, ma un amaro dato – sono purtroppo l’unico uomo che abbia fin qui conosciuto ad avere una visione autenticamente politica e pubblica del suo essere».
Allora, concludo con una citazione da La storia di Giovanni e Margherita, estrapolata dal sito personale. E, con molta tristezza, mi affido a essa come riflessione sulla solitudine e sulla letteratura come palcoscenico del malessere.
L’incapacità di modulare l’egoismo, che non giova all’egoista, e che dunque si configura come un’impotenza di opere, è causata da un incidente dello sviluppo. Questo incidente dello sviluppo può essere capito e risolto se studiato alla luce delle regole del contesto. L’impotente di opere, a causa della sua impotenza a contribuire alla vita degli altri, viene negato, e quindi, in seguito alla negazione degli altri, cade in preda al malessere della pazzia. Se il malessere è di modesta entità la pazzia è parziale. Se il malessere è invece di grande entità la pazzia è più grave fino a poter essere totale. I concetti di egoismo e pazzia si sovrappongono totalmente, infatti: egoismo = desiderio di affermare se stessi senza le opere = malessere per la negazione degli altri = pazzia. Diventerà pazzo in sostanza colui che, a causa della sua impotenza di opere (egoismo), tenterà di imporre agli altri il suo esserci ed essere riconosciuto e, vedendo frustrati i suoi tentativi, continuerà a cercare di esercitare il suo vantato diritto attraverso comportamenti che, per l’aumentare del suo malessere, saranno sempre meno adatti a fargli ottenere quello che vuole. Fino a quando, a causa della negazione degli altri, che non cesserà fino a quando non cesserà il suo egoismo, adotterà forme comportamentali nelle quali è assente il contributo alla vita altrui, per cui, negato da tutti e più duramente, cadrà nella pazzia.
NB: tengo a precisare che nei testi di A.L. Marra, o comunque a lui pertinenti, non ho toccato una virgola.
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