Su questo Blog

Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.

martedì 23 agosto 2011

Ma che ti pigli un'euritmia!

Tra i vecchi libri di mio nonno, geniaccio strampalato, affascinante e inconcludente, uno dei libri più curiosi è la Chimica in versi di Alberto Cavaliere, chimico per costrizione, scrittore per fuga, che compose un interessantissimo canzoniere, bipartito, come tutti i canzonieri della letteratura italiana che si rispettino, tra chimica organica e inorganica, con la sua brava struttura macrotestuale, e ogni testo dedicato a un particolare elemento della chimica. E tutto sempre con una strana mescolanza di tecnicismo chimico e linguaggio poetico; ad esempio, per i radicali acidi – anidridi, abbiamo una singolare struttura su quattro terzine variamente rimate:

Se alla formula d’un acido
noi togliamo l’ossidrile,
resta un gruppo che si chiama
radical acido o acile:

s’ha dal formico, ad esempio,
il formile H. CO -.
I suddetti aggruppamenti
non son liberi, però.

Anche in chimica organica esiste
l’anidride, che allor si sviluppa,
se un acil con un altro s’aggruppa
saturandosi a mezzo d’un O.

Le anidridi son semplici o miste;
è l’acetica un liquido ingrato,
d’un odor che fa perdere il fiato:
quest’orrenda novella vi do.

Non male, tutto ma proprio tutto sommato, e poi, insomma, se l’Algarotti ha scritto il Newtonianismo per le dame, Cavaliere potrà pure scrivere la “Chimica per studenti di liceo classico”.
Peggio è quando – in questo popolo di santi, navigatori e soprattutto poeti che non leggono poesia – un tecnico decide di fare il poeta, il poeta lirico, perché è d’animo sensibile, e la poesia lo chiama. C’è una bellissima poesia di Gozzano, non tra le più famose, Il commesso farmacista. Il farmacista a sera si chiude nel suo studio per ricordare la fidanzata – una modista che nell’aprile morì di mal sottile, e ora riposa nel cimitero pendulo fra i paschi – dedicandole versi che Gozzano (che quanto a stronzo, era proprio stronzo) definisce nefandità da melodramma, con il peggio dei cascami letterari: Il cor... l’amor... l’ardor... la fera vista / il vel... il ciel... l’augel... la sorte infida.
Versi davvero orrendi e ripugnanti, ma che il farmacista - per pudore, dignità e come ultimo tributo all’amata – si rifiuta di leggere al grande poeta: Mi pare che soltanto al cimitero, / protetti dalle risa e dallo scherno /i versi del mio povero quaderno / mi parlino di lei, del suo mistero. E Gozzano, malato di tisi e tabe letteraria, riconosce che è lì la vera poesia, non in quella sua e degli altri poeti, saputi all’arte come cortigiane, artefatti a atteggiati.

Io invece non sono un crepuscolare. E quindi mi incazzo più facilmente. Specie se i suoi versi uno li appende in strada.

Vicino a casa mia c’è un gioielliere, che ad ogni estate, in occasione delle lunghe ferie estive che può concedersi un gioielliere, tappezza le vetrine di poster di località esotiche e, in formato gigante, di un lenzuolo con il testo di una sua poesia. Potrete apprezzare meglio il testo cliccando sull’immagine.



E in fondo viene anche da fare almeno un’osservazione. Chi può leggere questa “poesia” è chi passa davanti alla vetrina. Cioè chi non è in vacanza. Chi pensa che magari le vacanze che lui non fa, a quel gioielliere le ha pagate in parte anche lui. E amerebbe quantomeno non sentirsi vagamente canzonato; o, almeno, se proprio non si può evitare, che ciò avvenisse con dei versi decenti che rispettino un minimo di prosodia.

Nessun commento:

Posta un commento