Una delle tavole dell''edizione di Domenico Angelo |
Difficile non sentirsi un po’ idioti quando si passa un pomeriggio sul pur bellissimo L’ecole des armes di Domenico Angelo [1763], sunto di quella scuola schermistica francese che dominò l’Europa fino a Napoleone; difficile però anche, guardando le sue celebri tavole su disegni del Gwyn , non sovrapporre quelle immagini ad altre impresse nella fantasia fin da ragazzino. Magari a qualche grande spadaccino francese, che so, Scaramouche, oppure moschettiere o cadetto di Guascogna che sia. Magari pensando a questo bellissimo spezzone, tratto dal meraviglioso Cyrano di Bergerac di J.-P. Rappeneau [1990], con un Depardieau ai suoi massimi, nell’incontro forse con il personaggio più adatto alla sua indole e alla sua recitazione.
Drammone sentimental-eroico ottimamente liofilizzato, per dirla tutta. E certo, però, un intero film recitato in rima è qualcosa di straniante, e l’orizzonte d’attesa dello spettatore viene squassato dal maremoto della scansione versale, cosa che ovviamente non accade per il lettore del dramma di Rostand.
Drammone sentimental-eroico ottimamente liofilizzato, per dirla tutta. E certo, però, un intero film recitato in rima è qualcosa di straniante, e l’orizzonte d’attesa dello spettatore viene squassato dal maremoto della scansione versale, cosa che ovviamente non accade per il lettore del dramma di Rostand.
Mi è venuta così voglia di giocare un po’ alla scherma, confrontando il testo del duello con Valvert nel film – che nella versione italiana è opera di quel mostro di poliedricità di Oreste Lionello – con altre due traduzioni.
Nel film Cyrano annuncia che durante il duello reciterà a impronta una ballata, la “Ballata del duello che in brutta compagnia vinse de Bergerac senza nemmeno un graffio” (la “Ballade du duel qu’en l’hôtel bourguignon /Monsieur de Bergerac eut avec un bélître!”), di cui enuncia la struttura in “Tre ottave, una ripresa e la fine”. Puntualizziamo subito che, per amor di rima, qualche imprecisione nella traduzione di Lionello si è introdotta. L’originale francese infatti recita: “ La ballade, donc, se compose de trois / Couplets de huit vers... [...] Et d’un envoi de quatre... ». La fine della ballata, infatti, non esiste: al più è la fine del duello, e non un elemento strutturale, e infatti nell’originale non è menzionata.
Per facilitarne la ricostruzione e la comprensione, riportiamo sotto il testo della sola ballata.
Getto con grazia il cappellaccio
Lentissimamente abbandono
il ferraiuol che mi da impaccio
E... col mio spadone tenzono
Celadon adesso io qui sono,
Scaramuccia, re dello stocco!
E vi avverto, o poi che canzono
Che a fin di ripresa io tocco!
Neutral dovea restarvi il braccio!
Dove, tacchino, vi schidiono?
Nel fianco, sotto il vostro straccio?
Al petto, dove il cuore ha il trono?
Le cocce, Din. senti che suono
Una mosca eviro e infiocco
E a te poi non minchiono
Lì, deh, ma al fin di ripresa, io tocco.
E mi manca una rima in accio
Rinculate bianco di tono
E, per darmi il motto, “scacaccio”.
Paro l’affondo e vi abbuono
l’idea di ripetermi il dono:
Invito il tuo tiro, lo blocco
Reggi lo spiedo o ti accappono
Tanto al fin di ripresa io tocco
Ripresa
Principe chiedi a dio perdono
Io giro di quarto, io mi incocco
io fendo, io infilzo, io paro ***
Giusto al fin di ripresa, io tocco.
*** Ammetto di non riuscire a capire il testo; unica cosa certa è che la rima deve essere in –ono.
La struttura rimica è facilmente ricostruibile in ABABBCBC BCBC; l’ottava quindi deve essere intesa estensivamente, come strofa di otto versi, e non secondo il modulo canonizzato nella letteratura italiana. La unità versale è data da novenari, con qualche tolleranza (sempre che io abbia ben identificato le battute). Peraltro è curiosa un’evidente anomalia: la rima A ricorre solo nel primo e terzo verso della strofa; B nei versi 2, 4, 5, 7 della strofa e 1 e 3 della ripresa; C nei versi 6 e 8 della strofa, e 2 e 4 della ripresa. Eppure Cyrano, prima del duello, dice di aver individuato le rime –accio e –ono, ossia solo A (peraltro minoritaria, come si è visto) e B. L’originale francese è ben diverso: qui Cyrano si limita infatti a dire: “Attendez ! ... je choisis mes rimes... Là, j’y suis » ; insomma, di rime non si parla.
Ecco allora l’originale francese per esteso.
Je jette avec grâce mon feutre,
Je fais lentement l’abandon
Du grand manteau qui me calfeutre,
Et je tire mon espadon,
Élégant comme Céladon,
Agile comme Scaramouche,
Je vous préviens, cher Mirmydon,
Qu’à la fin de l’envoi, je touche !
Vous auriez bien dû rester neutre ;
Où vais-je vous larder, dindon ? ...
Dans le flanc, sous votre maheutre ? ...
Au cœur, sous votre bleu cordon ? ...
– Les coquilles tintent, ding-don !
Ma pointe voltige : une mouche !
Décidément... c’est au bedon,
Qu’à la fin de l’envoi, je touche.
Il me manque une rime en eutre...
Vous rompez, plus blanc qu’amidon ?
C’est pour me fournir le mot pleutre !
– Tac ! je pare la pointe dont
Vous espériez me faire don : -
J’ouvre la ligne,– je la bouche...
Tiens bien ta broche, Laridon !
À la fin de l’envoi, je touche
ENVOI
Prince, demande à Dieu pardon !
Je quarte du pied, j’escarmouche,
je coupe, je feinte... Hé ! là donc
À la fin de l’envoi, je touche.
Je fais lentement l’abandon
Du grand manteau qui me calfeutre,
Et je tire mon espadon,
Élégant comme Céladon,
Agile comme Scaramouche,
Je vous préviens, cher Mirmydon,
Qu’à la fin de l’envoi, je touche !
Vous auriez bien dû rester neutre ;
Où vais-je vous larder, dindon ? ...
Dans le flanc, sous votre maheutre ? ...
Au cœur, sous votre bleu cordon ? ...
– Les coquilles tintent, ding-don !
Ma pointe voltige : une mouche !
Décidément... c’est au bedon,
Qu’à la fin de l’envoi, je touche.
Il me manque une rime en eutre...
Vous rompez, plus blanc qu’amidon ?
C’est pour me fournir le mot pleutre !
– Tac ! je pare la pointe dont
Vous espériez me faire don : -
J’ouvre la ligne,– je la bouche...
Tiens bien ta broche, Laridon !
À la fin de l’envoi, je touche
ENVOI
Prince, demande à Dieu pardon !
Je quarte du pied, j’escarmouche,
je coupe, je feinte... Hé ! là donc
À la fin de l’envoi, je touche.
Come si vede, la struttura è identica a quella adottata nel film: ABABBCBC CBCB. Non mi metterò certo a fare un lavoro di sinossi tra il testo di Rostand e la peraltro bellissima traduzione di Lionello; mi limiterò a dire che talora nel film non è facile cogliere la linearità cristallina del testo francese (ad esempio Vous auriez bien dû rester neutre diventa Neutral dovea restarvi il braccio!, che è tra l’altro improprio, perché la neutralità a cui si allude è quella nella sfida lanciata da Cyrano all’attore Montfleury, e il braccio armato non c’entra nulla; anche più confusamente, la perspicua Vous rompez, plus blanc qu’amidon ? / C’est pour me fournir le mot pleutre ! diventa Rinculate bianco di tono / E, per darmi il motto, “scacaccio”); così si perde una certa ironia (Au cœur, sous votre bleu cordon ? si formalizza e liricizza in Al petto, dove il cuore ha il trono?); inoltre mentre in francese l’ultimo verso di ogni strofa è sempre uguale (o quasi), più marcate sono le differenze nella traduzione.
La prima delle due altre traduzioni su cui ho lavorato è quella di Mario Giobbe, che è poi quella su cui io stesso avevo letto l’opera. Anche qui la struttura rimica resta la stessa: ABABBCBC BCBC. La particolarità maggiore rispetto a Lionello è quella di adottare organicamente l’endecasillabo, senza concessioni a qualsiasi forma di anisosillabismo; resta certo il verso breve Eh, là! prendi, piccino!, ma si tratta in fondo di un settenario, e in quanto tale verso nobile della nostra tradizione. La maggior misura versale, peraltro, rende il testo decisamente più perspicuo di quello di Lionello, decisamente più fedele al francese, ma senz’altro meno scattante e brillante.
Ecco, ed io gitto con grazia il cappello,
poscia comodamente, pian pianino,
mi libero del mio vasto mantello
che mi attabarra, e lo spadon sguaino.
Di Celandone più gentil, più fino
di Scaramuccia al gioco dello stocco
vi prevengo, mio caro paladino,
che giusto al fin della licenza io tocco.
Meglio v’era tacer, signor mio bello!
Dove t’infilzerò, dimmi, tacchino?
Sotto il giubbetto, al fianco, ti sbudello?
nel cuor, sotto l’azzurro cordoncino?
– Volteggia la mia punta: un moscerino!
Tintinnano le cocce, odi che schiocco!
Sì certamente... in mezzo del pancino
giusto al fin della licenza io tocco!
Mentre io vo in cerca di una rima in ello...
tu rompi, bianco come un pannolino!
Vuoi forse darmi la parola: agnello?
– Tac! e la punta io paro onde il festino
ti pensavi di farmi, o malandrino! –
Ecco: t’apro la via, – chiudo lo sbocco...
Su reggi bene, guattero, l’uncino!
Giusto al fin della licenza io tocco.
Raccomandati a Dio, bel principino!
Ecco; io m’inquarto, io paro, io fingo, io scocco...
Eh, là! prendi, piccino!
Giusto alla fin della licenza ho tôcco.
L’ultimo testo che prendo in considerazione è La storia di Cyrano de Bergerac. Raccontata da Stefano Benni, (L’Espresso, 2010), uscita per “Save the story”, ai cui Promessi Sposi già ho dedicato un post. Davvero gradevole il testo di Benni, per brio, velocità, delicatezza, ma certo con ampi margini di intervento dovuti alla forma e ai piccoli destinatari particolari. Se sono ampie le sezioni trasposte nella sua sorridente prosa, la scena del duello viene mantenuta interamente in poesia:
Io getto con grazia il mio cappello
E lentamente, con mossa aggraziata
Tolgo di dosso l’avvolgente mantello
E voilà, la mia spada ora è sguainata
Di un moschettiere ho lo stile elegante
E come Scaramouche sono scattante
Perciò vi annuncio, o povero sciocco
Che giusto al fin di questi versi io tocco.
Avreste fatto meglio a stare zitto
Dove vi infilzerò, mio bel tacchino,
Al fianco, nel vostro bel corpetto,
Al cuore, sotto l’azzurro cravattino?
Le lame fan din don, il ferro canta
Come una mosca volteggia la mia punta
E vola il vostro bel panciotto
E giusto al fin di questi versi io tocco
Alla poesia una rima vo cercando,
Eccovi lì, bianco come un cuscino
Ahimè il vostro colpo è miserando
E potrebbe pararlo anche un bambino
Speravate di beccarmi? Non lo credo
Ora m’apro la via, chiudo lo sbocco,
Guattero tu fai scherma con lo spiedo,
E giusto al fin della licenza io tocco
Chiedi perdono a Dio, mio principino
Io inquarto, io paro, io finto, io scocco
E giunto al fin di questi versi io tocco
Benni segna un chiaro scarto metrico rispetto all’originale e alle due traduzioni: sempre strofe di otto versi, va da sé, ma con due grosse differenze: lo schema rimico diventa ABAB CC DD (e ABAB CD CD nella terza), con il passaggio da tre a quattro rime alla ricerca di una maggiore facilità e leggerezza (e, sia detto per inciso, spesso paradossalmente anche maggior fedeltà); le rime, inoltre, non solo sono spesso assonanzate (zitto : corpetto; canta : punta), ma cambiano a ogni strofa, salva ovviamente restando la rima in –occo di ogni ultimo verso, richiesta dalla struttura (e il io tocco è probabilmente troppo sedimentato nell’orecchio per essere accantonato alla ricerca di una rima differente); c’è però l’accorgimento di legare la seconda e terza strofa con la rima –ino, quella che si ripercuoterà irrelata nella ripresa (che passa da quattro a tre versi), così anche da rafforzare il senso di unitarietà della struttura. Inoltre Benni adotta l’endecasillabo, anche se con molta, molta duttilità, comprensibile considerato che non riesco a immaginarmi troppi bambini sdegnati per una periclitante prosodia.
Come si accennava, sovente la traduzione di Benni è più fedele di quella di Lionello, e basta guardare la prima strofa. Abbastanza sorprendente invece il fatto che il verso finale delle strofe e della ballata diventa qui Che giusto al fin di questi versi io tocco, abbandonando la formula consueta. Nemmeno troppo sorprendente, però, e quindi scelta giusta, perché ogni termine tecnico (“licenza”, “ripresa”, “congedo”) sarebbe stato incomprensibile per un piccolo lettore, tanto più che Benni sceglie di omettere le parole con cui Cirano chiarisce la struttura della ballata. La scelta, questa sì, curiosa, di chiudere la terza strofa con il diverso E giusto al fin della licenza io tocco più che una estemporanea ripresa da Giobbe mi sembra piuttosto quasi un omaggio al Cirano di Guccini (“al fin della licenza io non perdono e tocco”).
Poiché un post cominciato giocosamente rischia di finire in pesantezza, aggiungerò, a mo’ di ghost-track, un’ulteriore traduzione, o meglio trasposizione, e che è stata il mio primo vero, ancora inconsapevole, contatto con il Cyrano. Nel 1974 esce Asterix e il regalo di Cesare; qui, a pag. 30, il nostro irriducibile eroe eponimo e il veterano ubriacone Romeomontecchius si scontrano a duello nella locanda “Alla brezza tonificante”. Un duello decisamente grottesco, per il quale da bambino pensavo che la parte comica fosse l’insulto “Hai un nasone... un orribile nasone” intercorso tra due personaggi dal naso esattamente speculare, e pronunciato per di più da quello che la canappia ce l’ha pure bitorzoluta. Solo dopo un po’ capii l’intarsio delle citazioni: I tre moschettieri (“Badate... sono nella guardia del cardinale”), Zorro (e infatti nella pagina successiva la ragazzina verdevestita, uno dei miei primi amori, sospirerà “Avete visto? Gli ha fatto una Z come Zazà”; no, va bene, alla Zeta di Zorro ero arrivato già allora). Ma soprattutto il gioco citazionale dal Cyrano; le due battute pronunciate da Asterix durante il duello sono infatti l’agglutinazione di due celebri “pezzi di bravura”: la filastrocca “Non sei molto originale romano etc.” infatti si riallaccia al famosissimo monologo del naso del proboscidato spadaccino con cui Cyrano reagisce al flaccido rilievo di Valvert sulla grossezza del suo naso, una tenzone che porta proprio a quel duello della ballata, in cui, come dice Asterix, “con o senza fiocco... je touche!”.
E sì che avevo deciso di fare un post breve...
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