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Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.

giovedì 14 aprile 2011

Procul recedant somnia et noctium phantasmata

David B., Il cavallo pallido [1992], Bologna, Coconino Press, 2011, euro 14

Esce per Fandango – con notevole ritardo sull’edizione originale, segno della recente e larga fortuna di David B., a cui L’oubiquo ha già dedicato una una scheda – un’antologia di incubi e solitudini. Quindici sogni, racconti per l’analista, raccolti e appuntati dall’inizio del 1980 al dicembre 1991.
Come ricordato nelle breve nota d’autore che apre la raccolta, nell’immaginario onirico occidentale si staglia la medioevale masnade d’Hellequin, il corteo notturno di anime spettrali, dannati a un eterno peregrinare, forma visiva di tutte le paure. Tra queste, in certi racconti, quella di salire su uno dei cavalli di questa carovana di dolore, per non poterne mai più discendere ed essere trascinati via nella folle cavalcata verso l’inferno. Come certi incubi persecutori che riaffiorano a notti certe. E molti di questi quindici incubi hanno qualcosa comune. Nello stile tipico di David B., notturne macchie nere e sagome bianche squarciate, come masse contrapposte, si scontrano a disegnare un mondo bipolare; tratti netti, figure piene, qualche retinato; a volte campi allucinatamente bianchi con tratti più esili a contornare figure bianche da incubo anch’esse. Storie brevissime, alcune di sole due tavole, come le bellissime La recinzione o Il topo economo. Pochissime battute, a volte nessuna, come nei sogni muti. Una dominante quadripartizione ortogonale della pagina, con un’unica tavola onirica a piena pagina. Continui sbalzi di inquadratura, di immagine, in un incalzare narrativo irrazionale e analogico; soggettive allucinate e stranianti come ne La recinzione. L’orrore evidente de La casa velenosa, che non si può leggere senza sollevare inquieto lo sguardo sulle pareti di casa, e sopprimendo la voglia di scappar fuori verso un terrore più forte. E forse il sogno più ambiguo e ambizioso, L’elefante, fatto di simulacri, totem e metamorfosi, un dolore fatto di immagini e solitudine, di vita osservata dall’alto, di cielo di tenebra di cui farsi un vestito, e figure deformi e lubriche giù in basso, di omicidi che sono catasterismi mitologici, e fuga e persecuzione fino a che il sognatore, in una delle tavole più liricamente incisive, sarà la morte-notte che allaga i tetti di Parigi. Ed è meravigliosa l’ultima tavola de La morte al lavoro: l’ultima inquadratura è una magia di disegno al negativo, un’acquaforte di incubo claustrofobico.

Hostis ne fallax incitet / Lascivis curis, gaudiis, / Secreta noctis advocans, / Blandos in aestus corporis. / Subrepat nullus sensui / Horror timoris auxii, / Illudat mentem nec vagam / Fallax imago visuum

Non è certo il capolavoro di David B.; eppure certe immagini sembrano avere la forza di un tremore comune a chiunque va a dormire temendo l’avvicinarsi di uno scalpiccio lontano.

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