Su questo Blog

Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.

lunedì 21 novembre 2011

De te vita narratur

John Barth, La vita è un’altra storia. Racconti scelti, Roma, Minimum Fax, 2010

Una copertina come questa è tanto facile, quanto significativa. Un cappello da prestigiatore dal quale esce un libro, il nostro libro, il quale in copertina ha un cappello da prestigiatore dal quale etc. [E questo etc. sarebbe tipico della scrittura di John Barth] [[E una quadra per dire che questo etc. sarebbe tipico della scrittura di John Barth, è molto John Barth] [E questa ulteriore osservazione metabarthiana, anch’essa è molto etc]]. La mise en abyme è uno degli elementi più propri di questo padre longevo e radicale della narrativa postmoderna nel solco riconosciuto di Borges e Calvino. Ma l’ultimo dei cappelli della sequenza en abyme non contiene un altro libro ad infinitum, ma, finalmente, un coniglio. Perché in fondo ai racconti di smontaggi, rispecchiamenti, meta e ipertestualità, c’è ancora quella vita che è un’altra storia. Irriducibilità di vita e letteratura o vita come plot nel mai finito insieme dei plot?

Dodici racconti, estrapolati da varie raccolte lungo la parabola autoriale di Barth, da Lost in the Funhouse ([La Casa dell’Allegria] 1968), a On with the Story (1996), a The Book of Ten Nights and a Night (2004), a The Development (2008). Titoli che, di per sé, fanno capire come Barth si muova sul filo sottile della citazione, dell’indagine metaletteraria, dell’ambiguità tra fabula e vita, dei processi di scrittura, di come la vita segua trame letterarie, e la letteratura sia il riflesso dell’esistenza, e ancora di come noi stesso raccontiamo la nostra vita. Racconti nel racconto e esistenze in cornice, come nell’amato Decameron, e nell’amatissimo Le mille e una notte, al quale The Book of Ten Nights and a Night è un esplicito tributo. E che dire del fatto che Verso l’occidente l’impero dirige il suo corso (l’ultimo racconto di La ragazza con i capelli strani di un certo DFW, autore anti-barthiano iper-barthiano giunto invece al tragico punto di rottura tra vita e letteratura), è proprio la cornice-espansione-riscrittura di Perso nella casa stregata, il racconto eponimo di Lost in the Funhouse? L’autore metaletterario che, nel grande gioco narrativo, diviene personaggio di altro autore.

E, proprio in Lost in the Funhouse, Ambrose, il piccolo Ambrose, smarritosi all’interno della casa dei fantasmi di un Luna Park e incapace di ritrovare l’uscita, morì raccontando storie a se stesso, e raccontando a se stesso la propria storia di bambino incapace di vivere e destinato a vivere tutto attraverso una chiave narrativa. È solo un bambino, va da sé, e quindi non morirà, ma per lui quella casa stregata in cui si è smarrito è il mondo, è un libro, è l’esistenza che è solo narrazione. Vorrebbe essere morto. Ma è vivo. Perciò costruirà case stregate per gli altri, e sarà il loro manovratore segreto – anche se preferirebbe essere uno degli innamorati per cui le case stregate vengono costruite.

E così uno dei temi dominanti della raccolta, è l’elemento principale della vita umana, il tempo. Come nel bellissimo, e misteriosamente tragico, Ad infinitum: un racconto breve, attuazione del paradosso di Zenone, in cui la donna latrice di un tragico messaggio non raggiungerà mai il marito per distruggere con tale messaggio quel che resta delle felicità a causa del tempo narrativo dilatato e dei rallentamenti del racconto. E così, Avanti con la storia è un gioco di rispecchiamenti, di incastri en abyme: una lettrice che legge la sua storia accanto all’autore della storia che sta leggendo. Due vite concentriche, all’interno di un sistema di anelli concentrici seguiti fino agli estremi confini dell’universo. E dove accade la lettura? Su un aereo in volo, cellula e frammento che non ha spazio né tempo.

Ma se a volte può sembrare che la metaletteratura stanchi, e che tutto si possa ridurre a un gioco sterile, segno del fallimento di raccontare storie, così non è. Sia perché sempre forte è il rapporto tra complessità del vivere e complessità dello scrivere – come persino nel complicatissimo Click, in cui “Mark il velocizzatore” e “Valerie la ritoccatrice”, personaggi dell’ipertesto “Ipertestualità della vita quotidiana” letto da Fred e Irma, sono forme del carattere, della vita, e ancora delle tecniche narrative e la loro integrazione è il segreto della felicità di coppia e di quella della narrazione – sia perché altri racconti hanno forza naturale propria, come Toga party (bellissima tragedia della vecchiaia) o il meraviglioso primo racconto della raccolta Viaggio nel mare della notte: una potente cosmologia, in cui – quando ormai flebile è la speranza che esista davvero quella riva promessa verso la quale sta nuotando – uno stremato io narrante rivive la lunga traversata in quel mare notturno che è tutta la sua esistenza, ricordando i compagni con cui aveva cominciato il viaggio quasi tutti annegati o lasciatisi annegare, e tutti i pensieri nati sul senso di quella traversata. Chi li ha creati. Quale il loro destino. Che cosa sia quel “mare della notte”. Che cosa sia quella riva promessa, riformulando genialmente le grandi concezioni della filosofia occidentale, dalla monadologia di Leibniz al manicheismo, dal concetto di ciclicità infinità a Berkeley. Chi sono quei nuotatori? Uomini? Pesci? Metafore? Mare enim in figura dicitur saeculum hoc, falsitate amarum, procellis turbulentum (Agostino, Enarr. in Ps. LXIV 9). E il sesso, terminato il racconto, sarà tragedia.

Nessun commento:

Posta un commento