Cià! Ma mi sa proprio che sta notte ci rimetto mano a quei racconti di sf che avevo abbozzato a quindici anni...
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Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.
lunedì 28 febbraio 2011
sabato 26 febbraio 2011
L'interpretazione degli urli e dei sogni
Robert Graves, L’urlo [1929], Milano, Adelphi, 2010
Un libro brevissimo, di chiaroscuri, inquietante e ambiguo come certi squarci del primo Lang. O forse Buñuel; e forse non è un caso che L’urlo sia stato composto lo stesso anno di Un chien andalou. Questo racconto lungo, e neanchetantolungo, è costituito quasi interamente dalla narrazione, in terza persona – da parte di Crossley, l’internato più intelligente e colto del manicomio –, di una strana vicenda di pazzia, amore, soggiogazione, identità, sogno.
Roger Callois, ne L’incertitude qui vient des rêves, disegna con malinconia l’inafferrabilità dei confini tra veglia e sogno, e l’infiltrazione nella vita reale di ogni perdita subita nell’esistenza onirica.
Roger Callois, ne L’incertitude qui vient des rêves, disegna con malinconia l’inafferrabilità dei confini tra veglia e sogno, e l’infiltrazione nella vita reale di ogni perdita subita nell’esistenza onirica.
Il mondo impercorribile e solitario della notte è ben reso dalla connotativa traduzione italiana del libro di Callois, Il deserto del sogno. E sulle dune (Non c’è vita né morte sulle dune. Sulle dune può succedere di tutto) sono ambientati i sogni paralleli della giovane coppia del romanzo, i passivi Rachel e Richard: quei due sogni, perfettamente complementari, l’uno chiave dell’altro, che introducono “l’australiano”, il viaggiatore che ha appreso la magia aborigena dell’urlo terrificante e che sconvolgerà la vita di coppia.
Forse. Nella sequenza di oggetti mediatori della tradizione fantastica e di immaginario magico e psicanalitico, si perdono i confini tra verità e follia, incubo e reale. La storia è sempre la stessa ma certe volte modifico il momento culminante e arrivo perfino a ridistribuire le parti. Variazioni che ne conservano la freschezza e perciò stesso la verità, così Crossley, l’internato, introduce il suo racconto. Chi è stato cosa?
Il sudario del finale – la coltre della opaca stupidità dei “normali” – coprirà l’irricomponibile tragedia di uno specchio di sé frantumato, di un’anima-sasso spezzata in quattro. “Quando cammino per le strade ho sempre la sensazione che qualcuno mi stia seguendo, ma sono invece io che inseguo me stesso. Silenzioso, ma io lo sento. Spesso ho l’impressione di correre dietro a me stesso. Allora voglio scappare, scappare, ma non posso fuggire! Devo uscire ed essere inseguito”. (M, Il mostro di Düsseldorf)
martedì 22 febbraio 2011
“Per ogni palpito del suo cuore / le rendo un petalo rosso d’amore”
Considerando il nostro viver frale,
E che tra noi non regna alcun contento,
Passando questa vita egra e mortale
Qual ombra, sogno, nembo, fumo e vento,
Ho pensato tra me che sia men male
Far, avanti ch’io moia, un testamento,
Il qual è questo che qui porto fuori
A benefficio de miei successori
Primo lascio a gl’afflitti miei parenti,
Da poi che sarò posto in sepoltura,
Poiché staranno assai mesti, dolenti
Della mia morte tenebrosa e oscura,
Tutti debiti e crediti e instrumenti,
Le rime, i versi et ogni mia scrittura
Con mille bei capricci e fantasie
Cavate da diverse poesie.
[...]
Ancora a quelli che vanno a studiare
Di tutti i dubii gli vo’ far un dono,
Che poi gli habbiano spesso a disputare
Cercando sempre che ’l suo dir sia buono,
E che tra lor sia spesso da gridare.
Né alcun che ciò decidi mai sia buono,
Ma come haranno argumentato assai,
Restino avviluppati più che mai.
[...]
Giulio Cesare Croce, Il testamento di M. Lattantio Mescolotti (vv. 1-16, 33-40)
lunedì 14 febbraio 2011
Lo spirito dei tempi
Manifesto lungamente affisso all'ingresso della Facoltà di Lettere.
Tanto perché non si dica che non erano stati avvisati.
Tanto perché non si dica che non erano stati avvisati.
giovedì 10 febbraio 2011
Il mondo salvato dai ragazzini. Parliamone...
Si sa, i bambini leggono se in casa ci sono i libri. Si sa, un terzo dei laureati non legge neanche un libro all'anno. Tiriamo fuori le cifre De Mauro sull'analfabetismo di ritorno? I soliti dati sul rapporto proporzionale numero di libri in casa e andamento scolastico? L'esigenza che ogni bambino abbia il proprio spazio di studio e lettura? Diamo tutto pure per scontato. Tutto ciò però, e Istat, e Pisa, e altro, cita un articolo di Casa&Design, inserto multimediale di Repubblica.it a una pagina che purtroppo non riesco più a ritrovare. E allora, ecco la proposta-ad dell'articolo: una bella stanza da protoadolescente di buona famiglia con uno spazio specifico dedicato ai libri, che sia di sollecitazione e augurio. Meraviglioso. E allora quale immagine di stanza proporrà l'articolo?
Al di là del fatto che più che una stanza da ragazzino mi sembra un bagno per disabili; al di là che è l'ipostasi dell'anaffettività; ma questa - dedicando ai libri circa un trecentesimo della parete e un centesimo del poster - dovrebbe essere una stanza che faccia capire quanto sia importante leggere? e questa dovrebbe essere un stanza con tanti tanti tanti libri che facciano sentire a un ragazzino l'avventura della lettura come il proprio mondo?
sabato 5 febbraio 2011
La parola che ci distingue
Alexandre Koyré, Sulla menzogna politica [1943], Torino, Lindau, 2010
Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico e continuo. Così va il mondo, cioè, così andava nel 1943. Bellissimo il libercolo dedicato, tra Galilei e Descartes, alla menzogna politica dal filosofo russo-francese. Che subito premette che la menzogna è costitutiva della politica, di più, della specie umana. E d’altronde un tale, ancor prima di Koyré, ricordava che “debbe adunque uno principe avere gran cura che non gli esca mai di bocca cosa che non [...] paia, a udirlo e vederlo, tutto piatà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione”. Però Koyré si dedica, pensando al nazifascismo, al profondo mutamento antropologico introdotto dai regimi totalitari, che ha portato agli estremi presenza e ruolo della menzogna, sicché l’uomo totalitario è immerso nella menzogna, respira la menzogna, è sottomesso alla menzogna ogni istante della sua vita. Una menzogna di massa, che può servirsi dei grandi mezzi di informazione, e in quanto tale seriale, volgare: la menzogna nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Menzogna con un totale disprezzo financo per la verosimiglianza, e per la stessa intelligenza di coloro a cui è rivolta. Ma in fondo, fino a qui, non avremmo nulla di particolarmente interessante. C’è un passaggio, però, che avrà un qualche sviluppo: Si deve la verità a chi si stima, ai propri pari e ai propri superiori. Inversamente, il rifiuto della verità implica mancanza di stima, di rispetto. E d’altronde la menzogna è strumento bellico. È rivolta al nemico; è lo strumento di chi si difende. Lo strumento del debole accerchiato. Facciamo uno più uno. Il totalitarismo è il mondo della menzogna; la menzogna lo strumento dell’accerchiato; il totalitarismo è perseguitato dalla psicologia del giusto perseguitato, dalla paranoia dell’accerchiamento, della persecuzione, del nemico interno traditore. Allora la menzogna è lo strumento che oppone noi a l’altro. Ma all’altro non spetta il diritto alla verità. E poi, chi è noi, e chi altri. Perché l’altro può essere anche chi di noi non è completamente iniziato, ed è chiamato non alla verità, ma alla fedeltà, all’entusiasmo. Ma è così lontano il totalitarismo dalla democrazia? Così lontana, questa, quando agisce sulle masse, ne acquisisce la fiducia, quando la fedeltà al gruppo resta la virtù principale dei suoi membri? Quando si crea la distinzione tra un’aristocrazia che ha diritto alla verità, e una massa destinata alla menzogna, indegna di partecipare alle élites proprio perché credula? Una sorta di contatto mistico si stabilisce per l’iniziato – o per chi creda di esserlo – tra se stesso e il capo. Le ultime pagine saranno strazianti: un vortice in qui si affoga, e davvero non si capisce più di quale tempo, di quale mondo si parli. È solo la sardana della menzogna, il suo trionfo impudico e orgoglioso: quando si mente, inutile cercare di evitare la contraddizione: la massa non se ne accorgerà nemmeno; inutile avere a cuore la coerenza: la massa non ha memoria; inutile nascondere la verità: essa è radicalmente incapace di recepirla; inutile anche nasconderle che la si sta ingannando: la massa non comprenderà mai che si tratta di essa, che si tratta del trattamento a cui la si sottomette. Come diceva Trotsky, Ha da passà ’a nuttata.
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