Alexandre Koyré, Sulla menzogna politica [1943], Torino, Lindau, 2010
Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico e continuo. Così va il mondo, cioè, così andava nel 1943. Bellissimo il libercolo dedicato, tra Galilei e Descartes, alla menzogna politica dal filosofo russo-francese. Che subito premette che la menzogna è costitutiva della politica, di più, della specie umana. E d’altronde un tale, ancor prima di Koyré, ricordava che “debbe adunque uno principe avere gran cura che non gli esca mai di bocca cosa che non [...] paia, a udirlo e vederlo, tutto piatà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione”. Però Koyré si dedica, pensando al nazifascismo, al profondo mutamento antropologico introdotto dai regimi totalitari, che ha portato agli estremi presenza e ruolo della menzogna, sicché l’uomo totalitario è immerso nella menzogna, respira la menzogna, è sottomesso alla menzogna ogni istante della sua vita. Una menzogna di massa, che può servirsi dei grandi mezzi di informazione, e in quanto tale seriale, volgare: la menzogna nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Menzogna con un totale disprezzo financo per la verosimiglianza, e per la stessa intelligenza di coloro a cui è rivolta. Ma in fondo, fino a qui, non avremmo nulla di particolarmente interessante. C’è un passaggio, però, che avrà un qualche sviluppo: Si deve la verità a chi si stima, ai propri pari e ai propri superiori. Inversamente, il rifiuto della verità implica mancanza di stima, di rispetto. E d’altronde la menzogna è strumento bellico. È rivolta al nemico; è lo strumento di chi si difende. Lo strumento del debole accerchiato. Facciamo uno più uno. Il totalitarismo è il mondo della menzogna; la menzogna lo strumento dell’accerchiato; il totalitarismo è perseguitato dalla psicologia del giusto perseguitato, dalla paranoia dell’accerchiamento, della persecuzione, del nemico interno traditore. Allora la menzogna è lo strumento che oppone noi a l’altro. Ma all’altro non spetta il diritto alla verità. E poi, chi è noi, e chi altri. Perché l’altro può essere anche chi di noi non è completamente iniziato, ed è chiamato non alla verità, ma alla fedeltà, all’entusiasmo. Ma è così lontano il totalitarismo dalla democrazia? Così lontana, questa, quando agisce sulle masse, ne acquisisce la fiducia, quando la fedeltà al gruppo resta la virtù principale dei suoi membri? Quando si crea la distinzione tra un’aristocrazia che ha diritto alla verità, e una massa destinata alla menzogna, indegna di partecipare alle élites proprio perché credula? Una sorta di contatto mistico si stabilisce per l’iniziato – o per chi creda di esserlo – tra se stesso e il capo. Le ultime pagine saranno strazianti: un vortice in qui si affoga, e davvero non si capisce più di quale tempo, di quale mondo si parli. È solo la sardana della menzogna, il suo trionfo impudico e orgoglioso: quando si mente, inutile cercare di evitare la contraddizione: la massa non se ne accorgerà nemmeno; inutile avere a cuore la coerenza: la massa non ha memoria; inutile nascondere la verità: essa è radicalmente incapace di recepirla; inutile anche nasconderle che la si sta ingannando: la massa non comprenderà mai che si tratta di essa, che si tratta del trattamento a cui la si sottomette. Come diceva Trotsky, Ha da passà ’a nuttata.
Nessun commento:
Posta un commento