Nei giorni della rabbia sull’altra riva del Mediterraneo, nuovamente i musei sono devastati. Uomini che insorgono per la propria dignità, e cultura e memoria che viene straziata. Mi è tornata in mente una tragica scena di Agora di Alejandro Amenábar (dedicato alla vita di Ipazia e al sanguinoso declino della cultura classico-pagana), allorché i Cristiani assaltano il Serapeum e la biblioteca (e questo, sia subito detto, al di là della complessa questione del rapporto tra Serapeum e Biblioteca di Alessandria, e della storia e delle tappe della distruzione di quest’ultima); dovrebbe essere una scena che produce solo rabbia per la cecità, il fanatismo, e la violenza. “È qui che vuoi il trionfo della ragione ellenica, / qui dove perfino l’alfabeto è un segno dell’obbrobrio da distruggere?”, recitano due versi del bellissimo poemetto di Mario Luzi, Libro di Ipazia. Eppure io ho provato un senso di alienata solidarietà di fronte a quella feccia di pezzenti rabbiosi che gridava la propria gioia per la distruzione di quella raffinata poesia che per loro era fame e fatica, di quella filosofia impervia che era il segno di un’umiliazione patita ogni giorno, di quella scienza ardita e geniale che per loro era esclusione, e povertà, e suburre nelle quali tornare sui loro piedi lerci.
È davvero questo, che la cultura è destinata a essere? Davvero, che cosa indigna di più? La distruzione della cultura, o la distruzione della nostra cultura? Che cosa ci indigna di più, la perdita di un libro, o che a distruggerlo sia un pezzente? Trentadue secoli prima della distruzione del Serapeum, ancora una volta in Egitto, i Consigli di Ipuwer – stesi nel regno del faraone Pepi II della VI dinastia (nel XXVIII secolo a.C.) – gemono sulla distruzione dei papiri, sulla profanazione della cultura, ma, ancora una volta, lo sdegno per la devastazione della cultura si accosta a quello per i sommovimenti sociali:
Avessi io levato la mia voce in questo frangente affinché essa mi riscattasse da questa dolorosa situazione in cui mi trovo! Guarda la Camera Privata, i suoi testi sono stati rubati e i segreti svelati. Guarda, le formule magiche sono state divulgate, gli incantesimi sono inefficaci perché la gente comune il ripete. Guarda, sono aperti gli archivi e depredati gli inventari. Gli schiavi sono divenuti proprietari di schiavi. Guarda, gli scribi vengono assassinati e il loro lavoro rubato. Maledetto me, per la miseria dei tempi! Guarda gli scribi del catasto, i loro scritti sono stati distrutti. I cereali dell’Egitto sono proprietà delle comunità locali. Guarda, le leggi della Camera Privata sono state gettate via. La gente ci cammina sopra e i poveri le frantumano per strada.
E forse le dolorose parole di Sinesio, allievo di Ipazia, filosofo e cristiano, vescovo e neoplatonico, hanno più senso di tutto.
“C’è una giustizia elementare in questo / una prima brutale forma di giustizia / da parti di chi dal festino non ha avuto niente e spera in un altro. / Questo aspetto di atroce e assurda riparazione / prende la storia nel suo passare ad altro” (Mario Luzi, Libro di Ipazia)
Nessun commento:
Posta un commento