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Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.

martedì 4 gennaio 2011

Mentre l’acqua ritorna equale

Bastien Vivès, Il gusto del cloro [2008], Firenze, Blackvelvet, 2010, euro 18

Quando Nettuno, dal fondo delle acque, ammirò l’ombra d’Argo che solcava per la prima volta il mare, il racconto umano conquistò un nuovo punto di vista. Il gusto del cloro del giovanissimo Bastien Vivès vive di sequenze secondo prospettive sempre diverse (e il bellissimo precedente Dans mes yeux è una personalissima declinazione del tema dello sguardo). Sequenze equoree. Tra un prologo e un epilogo di grigio e marrone nello studio del fisioterapista, il resto del libro si svolge quasi tutto in piscina. La scoliosi è un’ottima ragione per la piscina. E per scoprire un universo differente. Differente nei riti e nei codici, in cui il giovane anonimo scoliotico si muove con imbarazzo, impacciato, aggrappato lungamente all’orlo della piscina, “Scusi” a ogni scontro nella corsia, fermo a vedere gli altri nuotare. Noi della razza di chi rimane a terra. A osservare grasse matrone sgradevoli, sedute sul ciglio, piedi nell’acqua, dita nel naso. Ma dietro la balenottera passa una giovane figura snella e sinuosa, seguita dagli occhi del ragazzo in una lunga inquadratura, quasi un long take. Solo il primo dei tanti. Nereide lieve e decisa come le onde. Allora lo scoliotico dovrà lasciare la riva e farsi, e si farà, Proteo. Il gusto del cloro è il racconto di un frammento di vita nell’acqua; e l’acqua domina ogni inquadratura, la deforma, lunghe sequenze di immagini, il bordo della vasca, il costone del tetto seguito nuotando a dorso, la superficie dal fondo della vasca, i corpi immersi visti da fuori l’acqua, le onde che attraversano il punto di vista, come una telecamera mezza emersa, instabile tra i flutti della scie, quasi da mal di mare, figure che si allontano e avvicinano. Domina un verdeazzurro marino, acido, clorato, più opaco nelle scene sommerse. Un colore scontornato, masse incerte nelle trasparenze. Una storia raccontata nel silenzio, tavole e tavole senza una parola, ma solo il racconto lieve di virate e inseguimenti, sguardi, poche parole al fine di ogni vasca. Nell’apnea di un incerto desiderio. E corpi dai tratti sottili, dematerializzati dall’acqua e dalla rifrazione, e resi ancora più desiderabili, fisici. Ogni mercoledì, perché la scoperta hai i suoi tempi. E ci vogliono molti mercoledì, e molte vasche fianco a fianco, per interrogarsi se ci sono cose per cui morire senza darsi una risposta. E molti mercoledì per forse scoprire quale sia tale cosa, quando improvvisamente il giovane Nettuno leva lo sguardo verso la luce che attraversa l’azzurro e rischia di annegare per raggiungere la sua ombra d’Argo. E un altro mercoledì da aspettare, in cui forse sarà disvelata la frase pronunciata sott’acqua che non si è saputa leggere sulle labbra. Un amore non detto, forse, e forse non un amore, quando boccheggiando stremati sul bordo sembra arrivare improvvisa la rivelazione di sé e della vita. E le ultime quattro tavole, inattesi titoli di coda dopo i ringraziamenti, hanno la silenziosa dolcezza malinconica di un ricordo che ritorna agli occhi oltre il velo delle acque del tempo.

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