Robert Graves, L’urlo [1929], Milano, Adelphi, 2010
Un libro brevissimo, di chiaroscuri, inquietante e ambiguo come certi squarci del primo Lang. O forse Buñuel; e forse non è un caso che L’urlo sia stato composto lo stesso anno di Un chien andalou. Questo racconto lungo, e neanchetantolungo, è costituito quasi interamente dalla narrazione, in terza persona – da parte di Crossley, l’internato più intelligente e colto del manicomio –, di una strana vicenda di pazzia, amore, soggiogazione, identità, sogno.
Roger Callois, ne L’incertitude qui vient des rêves, disegna con malinconia l’inafferrabilità dei confini tra veglia e sogno, e l’infiltrazione nella vita reale di ogni perdita subita nell’esistenza onirica.
Roger Callois, ne L’incertitude qui vient des rêves, disegna con malinconia l’inafferrabilità dei confini tra veglia e sogno, e l’infiltrazione nella vita reale di ogni perdita subita nell’esistenza onirica.
Il mondo impercorribile e solitario della notte è ben reso dalla connotativa traduzione italiana del libro di Callois, Il deserto del sogno. E sulle dune (Non c’è vita né morte sulle dune. Sulle dune può succedere di tutto) sono ambientati i sogni paralleli della giovane coppia del romanzo, i passivi Rachel e Richard: quei due sogni, perfettamente complementari, l’uno chiave dell’altro, che introducono “l’australiano”, il viaggiatore che ha appreso la magia aborigena dell’urlo terrificante e che sconvolgerà la vita di coppia.
Forse. Nella sequenza di oggetti mediatori della tradizione fantastica e di immaginario magico e psicanalitico, si perdono i confini tra verità e follia, incubo e reale. La storia è sempre la stessa ma certe volte modifico il momento culminante e arrivo perfino a ridistribuire le parti. Variazioni che ne conservano la freschezza e perciò stesso la verità, così Crossley, l’internato, introduce il suo racconto. Chi è stato cosa?
Il sudario del finale – la coltre della opaca stupidità dei “normali” – coprirà l’irricomponibile tragedia di uno specchio di sé frantumato, di un’anima-sasso spezzata in quattro. “Quando cammino per le strade ho sempre la sensazione che qualcuno mi stia seguendo, ma sono invece io che inseguo me stesso. Silenzioso, ma io lo sento. Spesso ho l’impressione di correre dietro a me stesso. Allora voglio scappare, scappare, ma non posso fuggire! Devo uscire ed essere inseguito”. (M, Il mostro di Düsseldorf)
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