David Sedaris, Bestiole e bestiacce. Sedici storie cattive [2010], Milano, Mondadori, 2011, euro 16.50
La favola è lì, a pag. 1 della letteratura occidentale; a pag. 1 dell’adolescenza di chiunque abbia passato i propri migliori pomeriggi e le proprie noie più fertili a penare sulle traduzioni dal greco; a pag. 1 dell’infanzia di tutti noi.
La favola, non l’ammazza nessuno; il romanzo sarà pure morto, ma la favola è ancora in gamba. E ancora nel XX secolo, la favola è come il maiale. Non si butta niente. E a qualcosa serve sempre. Da quel piccolo capolavoro scabro e allusivo che sono le Favole della dittatura di Sciascia alla Fattoria degli animali di Orwell, dal dittico gabbianesco-planatorio del Gabbiano Jonathan Livingstone alla ricerca della libertà nella perfezione nel volo e della Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Sepúlveda, alla favola tragica del Maus di Spiegelman.
E adesso, possiamo aggiungere al canone favolistico questo Bestiole e bestiacce, sedici brevi-brevissime favole con personaggi animali.
Persino un tizio “senza lettere”, che il greco – e pure il latino, va’ – se l’era risparmiato, ma per il resto non s’era fatto mancare nulla, giocava con le sue favole di animali; animali stolti, arroganti, sciocchi. Il peggio dell’umano di fronte all’imprevedibilità del fato.
Il falcone non potendo sopportare con pazienzia il nascondere che fa l’anitra fuggendosele dinanzi e entrando sotto acqua, volle come quella sotto acqua seguitare, e, bagnatosi le penne, rimase in essa acqua, e l’anitra, levatasi in aria, schernia il falcone che annegava. (Leonardo da Vinci, Favole, a cura di A. Marinoni, 18)
David Sedaris è un famoso umorista americano; queste sedici favole, però non hanno proprio nulla di divertente, anzi. La favola ha scopo allegorico; e se c’è qualcosa da insegnare, che sarebbe bene che l’uomo sapesse su di sé, in genere è qualcosa che non è mai piacevole da sapere. In questi sedici racconti sfila il trionfo contemporaneo della meschinità e della stupidità umane; la miserabile coglioneria di chi pontifica che il tumore sia provocato dalla negatività; il razzismo spicciolo del viaggiatore; l’untuosità servile per il cliente che ha sempre ragione; il doppiopesismo di chi vede sempre la violenza nelle parole altrui e mai nelle proprie; il narcisismo dell’esibizionismo del lamento; la nevrosi egocentrica della madre moderna educatrice.
Se forse le favole meno riuscite sono le ultime due, proprio perché si ottunde la caustica asprezza che è la nota migliore della raccolta, un piccolo capolavoro triste è Lo scoiattolo e la tamia, una storia d’amore, vacua, nata usurata, senza un respiro superiore al tempo di una birra, eppure non vissuta per pregiudizio e paura e perbenismo e che un giorno, quando la pelliccia si sarà fatta più bianca che bruna, si tingerà della dolcezza e della malinconia di quel che non fu colto.
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