È nella natura delle cose trovare dolce, sicuri sulla riva, lo spettacolo dell’altrui naufragio. E figurarsi allora assistere a quello degli altrui manoscritti sul tavolo degli editor editoriali. Da Warhol in poi, chi sa canticchiare va a XFactor, chi ballonzola ad Amici, chi ha la faccia da volgare e perfetta idiota a La pupa e il secchione; chi non ha neanche quello, scrive un romanzo, ultima occasione per qualche soldo, una lama di luce, e soprattutto un palcoscenico per ossessioni, frustrazioni, megalomanie, impulsi di rivalsa e riscatto. E senza mai leggere un romanzo, che si potrebbe scoprire troppo di sé e del mondo. Al limite qualche manuale di scrittura. Per loro, formalmente, nasce invece Come non scrivere un romanzo. Una guida per evitare i 200 errori più comuni (Corbaccio, 2010). Esempi concreti per ogni sconcezza, nell’incipit, nell’explicit, nel ritmo narrativo, i personaggi, lo stile, i punti di vista, le focalizzazioni, l’ambientazione e via via per ogni errore che fantasia possa inventare; il tutto accompagnato dalla bonaria, e più spesso pungente, ironia dei due autori (Mittelmark, editor, e Newman, autrice di romanzi), impegnati a lavar la testa agli asini. Va bene, dai, se una sola persona riesce a pubblicare un romanzo grazie a questa guida gli compro tutta l’opera omnia. Diciamo allora che è un libro per noi altri meschini, che sghignazziamo a leggere stralci di romanzi refusés, piccoli teatri, noi e loro, del disastro umano e culturale. Poi alla lunga l’ironia di M&N stanca, e non è facile leggere duecento brani che in teoria non dovrebbero mai finire in pagina stampata. Così come è fin troppo chiaro che i due pensano a romanzi commerciali, e che, per quasi tutti i duecento errori che dovrebbero condannare un manoscritto al riciclaggio, potrei menzionare un paio di indiscussi capolavori della letteratura mondiale. Però si legge, e si legge come se fosse un macroromanzo postmoderno, a metà tra un Se una notte d’inverno un viaggiatore che procura sollievo a ogni interruzione e un Esercizi di stile avvitato nel virtuosismo dell’ignobile. E negli stralci migliori, non è facile non ridere, mentre ci si complimenta col traduttore.
E allora, ignaro di quali siano le norme sui diritti, riporto il passo tratto dall’errore Quando l’autore ostenta il vocabolario altrui, che mi ha costretto a pensare a troppe immaginifiche pagine lette in questi anni:
Henderson cincischiò con la broche del bikini di Melinda, ruminando i suoi maneggi. «Dormi di già?» arrise, facendosi schermo di lei. Certo, era coscienzioso che quel sonno era il dovuto per la droga dissapore che le aveva riversato nel bicchiere, prima che salpassero dalla banchisa del porto. Tutto gagnolante – il bikini ormai caduco sul pavimento – si tuffò a capo chino tra i seni fiorenti di lei. Deflorò una miriade di volte la ragazza, ingenuamente protratta sul letto, ignavia di tutto.
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