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Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.

lunedì 28 marzo 2011

O Daddy, Where Art Thou?

Alison Bechdel, Fun Home. Una tragicommedia familiare [2006], Milano, Rizzoli, 2007, euro 18

Un uomo, in foto, vago sapore anni settanta accentuato dal retinato grigio, mezzo busto a torso nudo, guarda in camera, mani sui fianchi di fronte a una veranda le cui forme sono solo intuibili; sguardo assente, sospeso, forse, un po’ ambiguo. È il frontespizio del primo dei sette capitoli di cui si compone questo meraviglioso graphic-novel, racconto autobiografico di scoperta, di morte, di vita familiare. Lungo inquadrature ampie, dalle linee nette e tonde, in grigi pastello distesi e pieni, si ricostruisce la storia della famiglia Bechdel fino alla prima piena giovinezza di Alison, figlia primogenita di Bruce e Helen. A posteriori sarei tentata di dire che la nostra famiglia fosse un’impostura. Una ferita dichiarata fin dalle primissime pagine, e la cui indagine costituisce il tessuto di tutta l’opera, anche col bisturi doloroso della vergogna. Che la nostra non fosse una vera casa, ma solo un simulacro, un museo. Il padre non è solo professore di inglese, non è solo gestore dell’impresa di pompe funebri di famiglia (e da Funeral Home, il titolo): le vere passioni di Bruce sono l’arredamento, il restauro, l’estetica, al punto da aver ricondotto, con gusto e dedizione, uno scheletro vuoto di casa vittoriana ai suoi antichi fasti.
Quei velluti, le cornici dorate, lo scaffale Canterbury, le modanature, i libri in marocchino, il Chippendale ricordano il gusto ossessivo del pieno che Ludwig II di Baviera dispiegò nel castello di Neuschwanstein e a Linderhof, proiezioni, costruzioni di sé, identità possibili solo su un fondale artificioso. Ludwig II, notorio omosessuale represso, negato, che cerca disperatamente l’espressione di sé nei suoi iperbolici, allucinati progetti architettonici; Bruce Bechdel, che la figlia riconoscerà come una femminuccia (sissy), confinato in un paesino degli Appalachi di poche centinaia di persone, costretto a ricercare la sua vera identità in incontri fugaci con muscolosi giovinotti locali, nel culto di una casa immobile e perfetta, natura morta con bambini, nella femminilità della figlia, a cui sono imposte tappezzerie a fiori rosa e colletti abbinati. Ein ewig Rätsel bleiben will ich mir und anderen, era il motto di Ludwig II, restare un mistero eterno per sé e per gli altri. Il graphic-novel non è solo auto-, ma anche bio-grafico, nella ricerca da parte di Alison di quel mistero costituito dal padre, in quel rapporto padre-figlia su cui si polarizza il novel. Un romanzo aperto e chiuso dal mito di Dedalo e Icaro, padre/figlio separati dalla mala via che uno dei due tenne, dalla caduta dal cielo perché la tragedia era inscritta nel destino. L’uomo “è simile a colui che costruisca una casa nella consapevolezza che verrà demolita il giorno della copertura del tetto”, dice Jean Amery in Levar la mano su di sé, uno dei principali testi della suicidologia novecentesca; nell’échec, nello scacco subito quando il mondo ti respinge, che ti costringe a vivere in maniera vergognosa, “innaturale”, “la casa che il commerciante di granaglie si era fatto costruire non venne demolita quando fu terminata, ma fu lui stesso a distruggerla con coraggio e volontà”. Il grande costruttore Ludwig II si suicidò davvero nello Starnberger See? Per Bruce Bechdel, alchimista dell’apparenza, erudito della superficie, dedalo del decoro, fu disgrazia o fu suicidio dovuto a quell’immenso disgusto di se stesso che impregnava la magione vittoriana, e che l’arredamento d’epoca non riusciva a nascondere? Anche per lui resta il mistero su ciò che davvero accadde su quella strada, travolto dal furgoncino della Sunbeam Bred, il pane del grande mito americano (icona affiorante un po’ ovunque nel novel), dipinta sulla fiancata la Little Miss Sunbeam, boccoloni biondi, sguardo malioso, rosea e paffuta, bamboletta femminile: tutto ciò che Bruce non poteva essere, ciò che Alison si rifiutava di essere. Perché il forse-suicidio del padre avviene non solo due settimane dopo la richiesta di divorzio della moglie, ma soprattutto quattro settimane dopo che la figlia ha dichiarato, lei sì, la propria omosessualità.
Bruce, ama i lillà, i fiori più tragici nel loro precoce appassire, che ritornano – la botanica come prima metafora del sesso – in Proust, il solo più finocchio del padre; la Ricerca del tempo perduto, le sue trasposizioni, i suoi nascondimenti, le sue ambiguità, i suoi incerti confini, il suo tempo perduto sprecato incompiuto, a dare forma al racconto. E la difficile ricostruzione della memoria e dell’identità di un uomo è anche il percorso di Fun Home, nei suoi continui riavvolgimenti, ritorni, quasi a spirale, prolessi, analessi, racconto nel racconto, continui sbalzi, lenti disvelamenti, presentimenti, mentre Alison e il lettore si inoltrano nel labirinto a cercare il Minotauro del dolore del padre, braccato dai fantasmi di un tanatoesteta che non raggiungerà mai la serenità del Departures di Y. Takita e piegato dall’incapacità di confessarsi, di accettarsi in una vita spezzata e negata (Tuo padre che dice la verita? Ma per favore).
La ricostruzione della memoria procede ricomponendo pezzi e frammenti, come tratti da un archivio familiare: vecchie foto, mappe, lettere, diari, tutto nel solco della propensione compulsiva all’autobiografia di Alison, un vero collasso di fragilità nella tortura di segni inflitti al diario in un impietoso calvario di sé, nel faticoso disegno di un rapporto padre-figlia, in cui la comprensione del travaglio dell’altro è conoscenza anche del proprio. I due sono all’antitesi, Moderna/Vittoriano, Maschiaccia/Effeminato, Pratica/Esteta, Spartana/Ateniese: Non eravamo solo invertiti. Eravamo l’uno l’inverso dell’altra; eppure qualcosa li unisce fino al fondo, e li separa; e non è solo il disagio della propria sessualità e l’approdo opposto, ma la stessa cultura, quel The Nude di Kenneth Clark che compare in mano al padre concentrato nella lettura, Le Pietre di Venezia di John Ruskin, che frenano l’affetto della bambina spingendola a lasciare il bacio solo sulle nocche della mano del padre. E la letteratura disegna, guida, cela e rivela l’esistenza di un uomo che pare aver smesso di vivere davvero molto tempo prima: quella copia de La morte felice di Camus che preannuncia il suicidio, Il Grande Gatsby, con la sua metamorfosa e la sua anaffettività, l’autobiografia di Fitzgerald, quasi seguita passo passo, tanto che i due genitori paiono più reali in termini romanzeschi, e ripercorsi su Ritratto di signora piuttosto che La bisbetica domata, o ancora l’esistenza e l’opera di Oscar Wilde
E Alison stessa si scopre nella lettura, grazie a un libro in cui incappa a caso in libreria (e, dallo scaffale, occhieggia The Role of the Reader di Eco, congruente con la vita di carta di tutta la famiglia), e la sua vita, le sue tavole, sono ricoperte di libri, sui letti, in mano, aperti, chiusi, sugli scaffali, di citazioni; fino a essere soffocanti, a essere rifiutati, nell’esigenza che il padre si sia suicidato per il disvelamento dell’omosessualità della figlia, e non perché avesse accordato - anche nelle coincidenze e nel computo dei giorni - la sua morte con quella di Fitzgerald (e sono restia a recidere quest’ultimo, tenue legame).
Eppure una lettura che continua a unire i due; il Mito di Sisifo, ancora il suicidio, la copia del del padre che Alison rifiuta per poi ritrovarsi a rimpiangere, nel tempo della scrittura, l’assenza di una stratificazione di memorie sui margini di un libro passato di mano in mano; il Giovane Holden, sul quale i due si incontrano nella lezione di letteratura all’High School, riconoscendosi a vicenda come l’unico senso della scuola; e, soprattutto, l’Ulisse, il lungo viaggio di riavvicinamento al padre, Dedalus e Leopold Bloom, e questa volta Alison accetta la copia del padre, e vi sovrascriverà i propri appunti.
Chi tra loro è stato il padre? Chi ha saputo guidare l’altro?

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