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Non si tratta di recensioni. Non si tratta di novità editoriali. Solo le mie note di letture casuali e ritardatarie, da un giorno in cui ho sentito di averne bisogno, a uno in cui non me ne importerà più.

giovedì 17 marzo 2011

Tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento, pensa a Phlebas

Nell’Elogio della follia risuona un ammonimento: l’uomo assennato che volesse salire sul palcoscenico per denunciare che dietro la maschera della divinità si cela uno schiavo dei vizi più ignobili, che dietro quella di una donna si nasconde un uomo, sarebbe preso a sassate come un pazzo furioso. Vivere è accettare la finzione; quella stessa finzione che ci permette di alienarci dalla miseria quotidiana. Aristotele, nel quarto paragrafo della Poetica, ricorda che sulla scena, anche i cadaveri sono belli. L’anestetico dell’estetica, che ci rimuove da noi, che fa riemergere i nostri incubi concedendoci una catarsi prêt-à-survivre. È vero però anche che la rappresentazione, e poi l’immagine, proprio con la loro distanza estetica ci assuefanno al vizio, alla violenza, alla presenza stessa del male, come teorizzato nel lungo processo che nella cultura europea origina da Tertulliano, e poi attraverso il Sulla commedia di Pierre Nicole e la Lettera a D’Alembert sugli spettacoli di Rousseau arriva su su fino a Davanti al dolore degli altri della Sontag?
È un po’ difficile in questi giorni non cadere nella banalità di associare tutto ciò alla tragedia giapponese e alla sua pluri-esposizione. Sui portali dei giornali e delle televisione, oltre a ogni possibile video amatoriale o professionale, ci sono i rimandi alle gallerie sui muri del dolore, le bambole, gli animali, i bambini, i cellulari, le file, gli accampamenti, le scarpe. È solo facile distanza? Una delle parole più abusate in questi giorni è “apocalisse”;l’Apocalisse è il libro biblico più rappresentato e trasposto. E vidi un nuovo cielo e una nuova terra – il primo cielo e la prima terra erano spariti, e il mare non c’era più; terra e cielo che si separarono già nel primo verso della Bibbia. E fu sera, e fu mattino. E terra e mare, nel settimo. E fu sera, e fu mattino, secondo giorno. Terra e cielo e mare, si sono confusi in Giappone. E si sono realizzati gli incubi peggiori dell’uomo; la terra che si apre, il mare che sommerge, la scienza che impazzisce.
Il giorno di Ognissanti del 1755, Lisbona (ma in realtà devastazioni vi furono anche in Nord Africa e su tutte le coste iberiche) fu devastata da un tremendo terremoto a cui seguirono un violentissimo tsunami e un incendio che non si spense per giorni. La cultura europea fu costretta a elaborare un evento che aveva scardinato storia e idee; Voltaire, Rousseau, Kant. L’arte, di fronte alla morte e alla devastazione, rielabora e impone il concetto di sublime, il terrore, il dolore, il fascino della paura. E tutto ciò è espresso in massima forma proprio dallo sconvolgimento degli elementi; l’anonimo greco Del Sublime, che fonda tale categoria estetica, dice Ti figuri, amico mio, la terra squarciata dalle sue fondamenta, il Tartaro messo a nudo, tutto l’universo rovesciato e sconvolto, e ogni cosa mescolata:cielo e Ade, cose mortali e immortali che si affrontano e lottano nella stessa battaglia?
Uno dei passi umanamente più duri della nostra letteratura, e che pure è uno dei fondamenti della nostra estetica, è l’incipit del secondo libro di Lucrezio: Quando nel grande mare i venti sconvolgono acque tranquille / guardar da terra il grande affanno di altri: lì c’è piacere. / Non che sia godimento gradevole il fatto che altri soffra, / ma è piacere guardare i mali da cui tu stesso sei libero. Nella forza narrativa delle acque, si incardina il sublime della visione dei nostri terrori più profondi, di un mondo indominabile. Assistiamo alla tragedia della nostra fragilità che ci è fatta conoscere in tutto il suo urlo.
C’è una famosa metafora per la conoscenza, assimilata a quei marinai costretti in alto mare a riparare la nave senza poterla tirare a secco, smontare, e rimontare con materiali nuovi. Che cosa di noi resterà dopo questi giorni? Che forma avrà la nave che ripareremo tra i marosi?



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