Sophie Divry, La custode dei libri [2010], Torino, Einaudi, 2012
Quando cominciai a progettare questo blog, tra le categorie a cui avevo pensato, c’era la Collana Cinque fermate, pensata per libri lievi lievi, di quelli che si possono leggere sui mezzi e interrompere in continuazione. Un divertissement, lo definisce la dedica. E di sicuro, le pretese molto oltre non vanno.
Lo strillo della quarta di copertina:”Dal sottosuolo di una biblioteca di provincia, la storia di un’anima ferita dalla vita e dagli uomini”; diciamo che dà subito l’idea dell’immagine che negli uffici Einaudi hanno deciso di dare al libro, qualcosa tipo “Donne che sbattono contro le porte delle biblioteche”.
Personalmente ho trovato qualcosa di ben diverso in questo monologo che, nelle due ore che precedono la riapertura mattutina, una non troppo colta bibliotecaria, frustrata e un po’ appassita, ossessiva e pantafobica, riversa su un malcapitato rimasto chiuso nella biblioteca. Per questa cultrice del sistema Dewey, pronta a citarne la classe per qualsiasi argomento di conversazione (Che angoscia la Prima guerra mondiale, che regressione, la classe 944.855), questa vestale di Eugène Morel e delle sue idee di riforma delle biblioteche, la biblioteca è davvero immagine di un mondo gerarchico e organizzato: alla piramide che dal direttore porta alle api operaie dei depositi, corrisponde quella delle classi Dewey, dall’aristocrazia di corte della letteratura francese e della storia al proletariato delle guide di viaggio e dei manuali per la compilazione dei curriculum vitae. Tutto squadernando idiosincrasie, manie e insofferenze: contro il rumore, la cultura di massa, le biblioteche ridotte a mediateca dove imperano i dvd, gli instant-book.
In realtà le parole della nostra bibliotecaria, in tutta la loro voluta caoticità, sono una riflessione, in certi punti davvero stimolante, sul concetto di biblioteca, i suoi modelli, la sua funzione, la sua identità: i pazzi che vi albergano, i poveri che vi si rifugiano alla ricerca del caldo, i libri in vista, i pensionati della solitudine, i figli del sostegno scolastico che entrano protervamente timidi per la prima volta in biblioteca, e allora gli spazi di lettura, i libri in vista.
E in fondo, in ballo, forse è la stesso concetto di cultura. E noi lettori, alla fine, non ne usciamo bene. Leggere è un pretesto. Una messinscena. La gente viene qui a cercare qualcosa a cui aggrapparsi. La biblioteca è il cuore stesso della Grande Consolazione, là dove ci si rifugia per la disperazione. E forse, tra amore e odio, non c’è troppa differenza. E non c’è troppa differenza sulle ragioni per cui si legge e per cui si scrive, tra Maupassant e la nostra bibliotecaria che pensa ai dorsi dei libri come a natiche maschili. La biblioteca, non c’è posto in cui ci si senta più miserabili.
È confortante sapere che si tratta solo di un divertissement.
Mi interessa moltissimo. Vedo di procurarmelo al più presto (nell'Opac del circuito della mia biblioteca purtroppo non c'è).
RispondiEliminaGrazie per il delizioso suggerimento.