Frase grammaticalmente corretta, per l’amor di dio, ma un po’ strana, come se fosse pronunciata da uno straniero, con ottima conoscenza della grammatica, ma non proprio al corrente dell’uso. E straniero, l’architetto egiziano lo è davvero, e così si poteva spiegare l’anomalia. Mi restava però un qualche senso di irrisolto, accentuato ancor di più dalla battuta del gallo: “È un alessandrino”. Da Alessandria d’Egitto l’architetto viene davvero, e quindi, di nuovo, tutto si spiegava. Però anche in questa seconda frase c’era qualcosa di strano, di poco pertinente alla situazione; poteva sì servire a spiegare la strana lingua e foggia del visitatore; ma allora perché non dire semplicemente “È un egiziano”?; e non sarebbe stata comunque una spiegazione un po’ strana, quasi persino maleducata, dato che non ricambiava saluto e felicitazioni del vecchio amico?; e se questi fosse giunto da Pisaurum, avrebbe detto “È un gallo senone”?
Insomma, non mi convinceva. Molti anni dopo, l’illuminazione. Alessandrino! Un bel doppio senso letterario, perché Panoramix non sta dicendo solo che l’amico viene da Alessandria d’Egitto, ma anche e soprattutto che la frase pronunciata da questi è un “verso alessandrino”, ossia il doppio hexasyllabe, il doppio settenario, verso classico della poesia d’Oltralpe, tanto da essere al centro di polemiche iconoclaste nell’Ottocento (e quindi immediatamente riconoscibile da qualunque lettore francofono di buona formazione scolastica). Il nome deriva dal Roman d’Alexandre del XII secolo, ispirato alle gesta di Alessandro Magno, fondatore, per l’appunto di Alessandria d’Egitto. E allora come può esprimersi un alessandrino, se non in alessandrini? Se andiamo a vedere l’originale francese troviamo la conferma della natura versale della battuta.
In questo caso Numerobis osserva: “Je suis mon cher ami, très heureux de te voir”. Qui la natura di verso doppio della frase è resa ancora più evidente dalla presenza della virgola, e i due elementi della frase sono appunto degli hexasyllabe (corrispondenti al settenario per l’alta densità di tronche del francese). Nella traduzione italiana il gioco letterario è molto meno riconoscibile, perché da noi l’alessandrino è rimasto un verso minoritario, quasi da cultori, confinato per lo più alle Origini. E anche il nome, più di tanto, da noi non è attecchito: anzi, spesso si usa il termine “martelliano”, da Pier Iacopo Martello (1665-1727) che lo introdusse nel teatro italiano. E piccola curiosità: il primo settenario è sdrucciolo (“felicìssimo”), il che riallaccia il nostro traduttore non tanto al martelliano moderno, quanto alla prassi diffusa proprio nella lingua delle origini, poi ripresa, per gusto antiquario, da Carducci.
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