Poche ore a Mantova, al Festivaletteratura, non bastano certo né per godersi una delle più belle città rinascimentali, né tantomeno per assaporare il turbinio di stimoli e occasioni offerti da un meraviglioso scenario culturale. Giusto l’occasione per avere la sensazione di una vivacissima comunità di persone con la voglia di leggere e scoprire.
A causa di una decisamente frettolosa preparazione, sono riuscito ad assistere a solo due eventi, non eccezionali, a mio giudizio: le presentazioni di Geraldine Brooks e Luigi Zoja.
Geraldine Brooks (http://www.geraldinebrooks.com/), australiana, già giornalista, è ora autrice di romanzi storici, o diciamo a sfondo storico, tra i quali Annus mirabilis, dedicato alla scelta della comunità inglese di Eyam, colpita dalla peste nel 1666, di auto-segregarsi per evitare la diffusine del contagio, un testo in cui la peste è metafora della lotta contro il male; L’idealista (Pulitzer 2006) – recuperando la strategia del romanzo dedicato a sviluppare un personaggio minore di una celebre opera (qualcosa presente nella letteratura occidentale fin dai tempi del Telemaco di Ulisse, e poi degenerato nella cosiddetta Fan fiction) – è dedicato alla figura del padre-assente di Piccole donne, dietro cui si cela Amos Bronson Alcott, padre dell’autrice del celebre polpettone defluito nella biblioteca di qualsiasi ragazzino con sorella maggiore nonché celebre educatore, abolizionista, animalista; I custodi del libro, dedicato all’Haggadah di Sarajevo, uno dei libri più preziosi al mondo, palinsesto di storie e tragedie e culture, e agli uomini che – nella Spagna al ricerca del sangue limpio come durante la Shoah o nell’ultima tragedia bosniaca – hanno rischiato la vita per salvarlo; e l’ultimo L’isola dei due mondi, dedicato a Caleb Cheeshahteaumauk, amerindo nativo di Martha’s Vineyard (Massachussets), primo nativo americano a laurearsi ad Harvard, in uno stupefacente 1665, ben prima che Sequoyah, un Cherokee, nel 1721 inventasse un alfabeto per il suo popolo, unico caso attestato al mondo di creazione autonoma di un codice scritto. Il prossimo “drammone storico” annunciato – per quanto si senta una vaga puzza di piaggeria nei confronti del pubblico – è un romanzo sui Gonzaga.
Una pagina dell'Haggadah di Sarajevo |
Luigi Zoja, invece, è un analista junghiano che ha presentato l’ultimo libro, Paranoia. La follia che fa la storia; alcuni anni fa avevo letto un bellissima miscellanea, Paranoia e politica, per la Bollati Boringhieri, in un viaggio tra ossessioni del complotto, paranoia dell’antisemitismo, 1984 di Orwell, e processi politici e tema del capro espiatorio di René Girard. Debbo dire che sono stato un po’ deluso dalla presentazione; il libro – a una veloce scorsa – sembra interessante, ma Zoja ha deciso di impostare il suo intervento su due grandi medaglioni, vagamente aneddotici, di Hitler e Stalin, con l’esito di una personalizzazione molto forte e di una quasi totale assenza di problematizzazione dell’approdo al potere dei “due massimi paranoici della storia” a dieci anni di distanza.
In realtà, debbo dire, le due cose che mi sono piaciute di più, erano gratuite, e semivuote.
Quaderni di scuola. Centocinquant’anni di storia italiana letta attraverso i componimenti degli scolari: al liceo-ginnasio Virgilio, in un’aula ricostruita, con vecchi banchi, e vecchie cartine alle pareti, e per ogni banco un tablet con la possibilità di leggere centinaia e centinaia di “temi” elementari digitalizzati, e ripartiti in categorie: costume, famiglia, lavoro, nazione, religione, immaginario. Una meraviglia. La possibilità di attraversare la nostra storia e la nostra società seguendo il modificarsi delle grafie, della lingua, e della retorica scolastica. E penso che non dimenticherò mai l’anziana, ma proprio anziana, signora che, seduta di fronte a me, ha ascoltato pazientemente le istruzioni della giovanissima volontaria sull’uso delle diavolerie moderne, e subito, con uno stupendo sorriso, si è immersa nei ricordi e nel passato.
Il secondo, Biblioteca di fantascienza, ai vecchi bagni pubblici, è la biblioteca alessandrina della fantascienza, con libri fatti affluire da tutta Italia, e ripartiti per categorie, Apocalisse, Ucronia, Viaggi nel tempo, Guerra, Religione, Alieni, Orrori dello spazio e della terra, Sociologia, Saghe cosmiche, Scienza e tecnologia, Esplorazioni. E tutto in un ambiente come se fosse un’antica astronave alla deriva. Ed è stato struggente trovare, in una vecchia ormai scollata Urania, una prima edizione de I guardiani del tempo di Poul Anderson, il mio autore più amato, il canto della malinconia sul tempo che scompare, su mondi apparsi alla luce e poi annichiliti nel nulla, sulla solitudine di chi viaggia tra volti destinati a scomparire senza che più nessuno ne abbia ricordo. E chi si è dovuta sorbire quel bambino invasato ed eccitato, gli perdonerà i suoi venti minuti di allucinata felicità.
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