Georges Simenon, La camera azzurra [1964], Milano, Adelphi, 2008
Ogni romanzo poliziesco è, a più livelli, una sfida di intelligenza e capacità ermeneutico-narrativa: il lettore deve riuscire a ricostruire il caso giudiziario prima dell’investigatore, ossia prima che sia l’autore stesso a rivelare la soluzione; questi, viceversa, deve fornire al suo lettore gli indizi necessari al disvelamento del mistero, in maniera tale però che la realtà venga colta il più tardi possibile, o potenzialmente occorra l’intervento del narratore stesso, mantenendo così lo scopo della lettura. Sfida di abilità, dunque, è anche quella dell’autore con se stesso: riuscire a modellare la forma narrativa in modo che il massimo di chiarezza si combini con il massimo di complessità e ambiguità.
La Camera azzurra tocca i virtuosismi del genere: anche qui sono presenti tutti gli elementi del giallo; delitto : indagine : soluzione. Qui, però, il romanzo coincide con l’indagine, e la sfida tra autore e lettore riguarda la natura del delitto stesso, e con esso la soluzione. Solo alle ultimissime pagine del romanzo si capisce quale sia il delitto, e chi sia la vittima. Non solo: l’indagine non è nemmeno una vera indagine, che è avvenuta anteriormente al tempo della storia, e a cui sono fatti solo brevi accenni facendone emergere uno a uno gli elementi come dati di realtà ormai inevitabili. L’indagine è in realtà l’interrogatorio, o piuttosto gli interrogatori a cui è sottoposto il sospetto.
Questo totale ribaltamento, questa estrema dilazione del delitto che origina il romanzo, è ben altro, però, che un caso di ricerca del limite della forma romanzo poliziesco; nessun Assassinio di Roger Ackroyd in circolazione. La forma romanzo poliziesco serve per andare oltre il genere. E per produrre un capolavoro il cui centro è una riflessione sul destino, sulla responsabilità, sulla distanza tra apparenza e verità interiore. L’indagine, infatti, più che far emergere la verità da un sospetto è quanto serve a quest’ultimo per far emergere da se stesso e per se stesso la propria verità.
E infatti l’interrogatorio di Tony trapassa in continuazione dal fitto dialogo con il magistrato inquirente al ricordo silenzioso; e con un ricordo silenzioso comincia il romanzo, con quanto accaduto nell’ultimo incontro con la sua amante Andrée nella “camera azzurra” dell’Hotel des Voyageurs. «Ti ho fatto male?». «No». «Ce l’hai con me?». «No». Da qui il narratore continua a spostarsi tra passato e presente, tra ricordo e interrogatorio, in una sofferta ricostruzione degli eventi. Come poteva sapere che avrebbe rivissuto quella scena decine e decine di volte? E sempre in uno stato d’animo diverso, da un punto di vista diverso... Per mesi si sarebbe sforzato di ricordare ogni minimo dettaglio. Non tanto di sua spontanea volontà, ma perché altri l’avrebbero costretto a farlo. Solo a questo punto il lettore comprende che ciò che ha letto fino ad ora non è semplice narratore onnisciente, un ricordo. Ma un ricordo provocato da precise domande dell’inquirente; forma memoriale di dichiarazioni a verbale. E frammenti di dialoghi e battute con l’amante tornano in continuazione lungo il romanzo, in forme diverse, con fini e sensi sempre diversi nella procedura della ricostruzione giudiziaria, ma soprattutto nel percorso di svelamento di Tony a se stesso. Era questo che stava pensando in quel momento? L’avrebbe capito soltanto dopo.
E in tale percorso ciò che Tony realmente comprende è come sia diversa la vita nel momento in cui la si vive e quando la si analizza a distanza di tempo. E come esista uno scarto che separa il suo linguaggio da quello dell’inquirente, e una distanza tra da una parte i suoi pensieri e quanto accaduto nella “camera azzurra” con le sue logiche proprie e la sua leggerezza (Non c’era niente di reale nella camera azzurra. O piuttosto si trattava di una realtà diversa, impossibile da comprendere altrove), e dall'altra l’immagine che tutti si sono creati su quanto accaduto. Vero e falso, come tutto il resto. E Tony comprende la propria incapacità di dare peso a eventi e parole: Davvero c’è gente che passa la vita a guardarsi allo specchio e a interrogarsi su se stessa? Tony comprende la tragica distanza tra leggerezza e noncuranza del vivere e responsabilità individuale (p. 140). Perché quanto accaduto è davvero una tragedia greca, in cui responsabilità e innocenza, colpa e disgrazia si annodano nell’errore inconsapevole. E tutto quanto ne verrà, sarà solo l’inevitabile inarrestabile tragedia: Il 17 febbraio segnava la fine, la fine di tutto, una fine che lui non aveva previsto ... e che tuttavia , adesso che non c’era più niente da fare, gli sembrava logica e inevitabile.
Il giudice Diem in fondo non è altro che il corifeo; e gli stessi paesani che vorrebbero linciare Tony sono solo il coro greco, voce della cittadinanza e del diritto normato. L’eroe tragico è solo in scena.
Uno dei romanzi di Simenon che più amo. Sei riuscito a esprimere impressioni che avevo provato leggendolo ma io stessa non avevo messo a fuoco del tutto. Ogni volta che trovo qualcuno che riesce a dirmi quello che provo è una piccola epifania. Caro oubiquo, non ti conosco ma ti ringrazio.
RispondiEliminaGrazie, anche perché in realtà ero molto insoddisfatto del risultato. Purtroppo in questo periodo ho poco tempo per ragionare e limare, e ho sempre l'impressione di una sgradevole frettolosità.
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