G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini [2001], Torino, Einaudi, 2010, euro 13
Il duca, quando la sera scende, può solo constatare “Quando la vita suona l’ora della raccolta, si sentono, senza aver fatto troppo di male, mille piccoli disgusti di se stesso, il cui totale non fa un rimorso pieno ma un malessere oscuro. E il mantello del duca trascina sicuro, scalando degli onori i gradini rampanti, un crepitio di illusioni secche e di rimpianti”. A volte può accadere anche percorrendo i chiostri universitari. Eppure, Preferirei di no racconta di qualcuno che seppe risparmiarsi quel malessere oscuro. L’8 ottobre 1931 oltre milleduecento professori universitari sono chiamati a giurare fedeltà al re e al regime fascista, impegnandosi a esercitare “l’ufficio di insegnante” per formare cittadini “devoti alla patria e al Regime Fascista”. Solo dodici rifiutano.
Il duca, quando la sera scende, può solo constatare “Quando la vita suona l’ora della raccolta, si sentono, senza aver fatto troppo di male, mille piccoli disgusti di se stesso, il cui totale non fa un rimorso pieno ma un malessere oscuro. E il mantello del duca trascina sicuro, scalando degli onori i gradini rampanti, un crepitio di illusioni secche e di rimpianti”. A volte può accadere anche percorrendo i chiostri universitari. Eppure, Preferirei di no racconta di qualcuno che seppe risparmiarsi quel malessere oscuro. L’8 ottobre 1931 oltre milleduecento professori universitari sono chiamati a giurare fedeltà al re e al regime fascista, impegnandosi a esercitare “l’ufficio di insegnante” per formare cittadini “devoti alla patria e al Regime Fascista”. Solo dodici rifiutano.
Un rifiuto minoritario; meno della percentuale dei malati rispetto ai sani, dei deficienti rispetto agli intelligenti, dei disonesti rispetto ai virtuosi, sarà lo scherno fascista. Ma un rifiuto che arriva al termine di un lento stillicidio di minacce, repressioni, violenze, norme, episodi, provvedimenti, che hanno già soffocato e stremato il mondo accademico; nei primi due capitoli Boatti ripercorre questo lento dissanguarsi, di energie e di anima, tra ritirate e resistenze: gli attacchi nel 1923-24 a Gaetano Salvemini, costretto l’anno successivo, dopo aver sperimentato anche il carcere, all’esilio; il decreto legge del dicembre ’25 che prevede il licenziamento per quei professori che fossero “in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo” (una legge che provocò l’abbandono di Silvio Trentin e F.S. Nitti, ma spazzò via professori di ogni ordine e grado, come Umberto Cosmo, e piace ricordare che sarà un suo allievo, Leone Ginzburg, l’ultimo a rifiutare il giuramento fascista, quando, arrivato in cattedra nel 1934, notificò sobriamente al suo Preside di non essere interessato alla carriera accademica); e così un primo giuramento (ancora solo al re) imposto ai professori nel 1924; lo scontro tra Manifesto fascista e antifascista del 1925; gli attacchi in Senato a Croce, “imboscato della storia”; fino all’intervento dei carabinieri che sospendono il congresso della Società Filosofica Italiana nel 1926. Una marea che culminerà con l’espulsione degli ebrei dall’università nel 1938 (97 di ruolo, 133 aiuti, 160 liberi docenti).
Mentre un mondo crolla, e l’afa livida e cupa preannuncia la tempesta, dolorosamente solitari, non rispondono all’appello Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini Avondo, Lionello Venturi, Vito Volterra. Lungo le pagine grandi e piccole della storia e della cultura italiana, dal terremoto di Messina (in cui Salvemini perse moglie e cinque figli) alla nascita del “Corrierino dei piccoli”, dall’infamia della Pascendi dominici gregis agli accoltellamenti tra reduci garibaldini in Romagna, dall’arroganza dei vincenti del maggio radioso alle lotte, di pensiero e di meschinità, nei Senati accademici e nelle anticamere ministeriali, si disegna un denso e affascinante affresco italiano in cui le storie dei dodici si propongono come romanzi ricchi di echi, incontri e battaglie. Attraverso le loro lettere di rifiuto al ministro Giuliano, le loro memorie, e quelle di grandi protagonisti della vita culturale e civile del Novecento italiano (Galante Garrone, Bobbio, N. Ginzburg, V. Foa, tra gli altri), Boatti segue la parabola di questi uomini che si trovarono a fare i conti con la propria storia personale e il senso di una vita scelta molti anni prima. Laici e razionalisti intellettuali ebrei, come Errera, Volterra e Levi Della Vida, o ascetici filosofi cristiani, come Martinetti, panteista e schopenaueriano. Cattolici osservanti e conservatori come De Sanctis, che rifiuta le scappatoie gesuitiche della “riserva interiore” proposta da un tale, omonimo a una piazza davanti a un certo ateneo milanese; oppure scomunicati e sacerdoti sospesi a divinis, come Buonaiuti, schiacciato dalla morsa della repressione fascista e della persecuzione cattolica antimodernista, tanto che persino l’Italia repubblican-democristiana gli negherà il ritorno in cattedra. Uomini per cui il rifiuto era consequenziale a una storia personale e persino famigliare, come il libero pensatore romagnolo Nigrisoli, o protagonisti inattesi, come Venturi, che aveva invece firmato il manifesto degli intellettuali fascisti. Membri della grande aristocrazia intellettuale italiana o montanari e figli di pizzicagnoli. Matematici, giuristi, semitisti, chimici, medici, storici dell’arte, filosofi, storici dell’antichità o del cristianesimo.
Certo, molti erano al termine di una carriera ricca di prestigio, pubblicazioni e soddisfazioni, ma vi fu anche chi come Edoardo Avondo Ruffini aveva solo trent’anni, e ne ebbe la carriera spezzata; certo, molti erano rassicurati dal loro benessere economico, ma altri, come Ernesto Buonaiuti che dovette vendere pezzo a pezzo la sua biblioteca, patirono maggiori o minori disagi economici; certo, alcuni erano intoccabili per la loro risonanza internazionale, ma altri patirono in seguito il confino, il carcere, o preferirono per sicurezza l’esilio. In tutti, però, insieme alla proclamazione della propria dignità, al rifiuto di subire il sigillo ideologico fascista, alla rivendicazione dell’autonomia della propria coscienza e della ricerca scientifica, c’è la drammatica sofferenza per l’abbandono della cattedra e la rinunzia a quell’insegnamento che dava senso, scopo e orizzonte a tutta una vita. Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente.
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