Vanni Scheiwiller diceva che avrebbe voluto stampare un catalogo di
tutti libri che non aveva potuto pubblicare.
Io vorrei fare l’elenco di tutti gli eventi del Festivaletteratura
2012 a cui non sono potuto entrare.
D’altronde quando ci si ricorda la sera prima che gli eventi
bisogna prenotarli, non è che poi ci si possa lamentare.
E se si ha in mente di fare almeno delle foto, e al primo scatto si
scopre di avere lasciato la memory card nel portatile, non è che le rubriche ne
guadagnino...
Insomma, il post con cui avevo deciso di riprendere a curare loubiquo,
non è proprio fortunato.
D’altronde, il lavoro mio, e ancor più della Rossa, mi costringe a
una toccata e fuga il sabato; per il resto posso solo rimandare al resoconto
degli amici della Balenabianca,
che hanno seguito come blogger l’intero Festival.
In concreto sono riuscito a prendere parte a tre cose.
Graphic History, con Vittorio
Giardino e Gabriele Ranzato; Lettere, voci e immagini d’Orlando;
Raffaele La Capria
Graphic History, con Vittorio
Giardino e Gabriele Ranzato
Vittorio Giardino è un famoso disegnatore, celebre soprattutto per
il personaggio di Max Fridman, un agente segreto attivo nell’Europa alle soglie
della Seconda guerra mondiale (e per qualche virate erotica). Dopo gli
originali Rapsodia ungherese e La porta d’Oriente, Giardino ha
pubblicato, sempre con Max Fridman, la trilogia di No pasarán (2000,
2001, 2007), riedita in unico volume nel 2011. La pubblicazione completa
giustifica la presenza a Mantova; l’ambientazione, la guerra civile spagnola,
giustifica la co-presenza di Ranzato, docente di Storia contemporanea a Pisa,
esperto del conflitto del 1936-39 fino al recente La grande paura del 1936 e
interlocutore e riferimento di Giardino sul tema.
Non avevo mai visto i due, e dunque quando si siedono alla cattedra
l’assegnazione nome-viso è fatta. Giardino è quello sulla destra, artistoide e
scapigliato e un po’ sornionamente scamiciato; Ranzato a sinistra, barbetta
curata, compitino, dietro al portatile dal quale ci costringerà a meditare su
qualche documento numero tot barra tot del Partido Obrero de Unificación
Marxista. Ovviamente è l’inverso.
I due, che in realtà non si sono mai visti, si lisciano ed
elogiano. Purtroppo un po’ scoordinatamente. Entrambi ammettono di essere un
po’ logorroici; nessuno dei due ammette di essere un po’ vanesio. Ma la palma
senz’altro la vince Ranzato. Tutti e due puntano a far filtrare di sapere
sull’argomento più dell’altro. Giardino rifugiandosi sulla piccola storia
materiale che sostenta i suoi racconti (“Ma la funicular de Montjuïc,
funzionava durante la guerra? Posso inserirla nel racconto? Questo gli storici
non lo sapevano”). Ranzato dice le cose migliori sull’invidia dello storico nei
confronti del romanziere che raggiunge con altri strumenti un pubblico più
vasto e influenzandolo con più efficacia (“Io non potrò competere mai con Per
chi suona la campana”). E le cose peggiori quando in coda comincia a
polemizzare sulla verosimiglianza dell’orientamento politico di Max Friedman.
Giardino ha il suo apice di interesse quando mostra come le sue tavole siano
tramate di precisissimi e puntuali riferimenti iconografici e di ricerche
storiche, davvero impressionanti per un non esperto. Le peggiori quando rischia
di ridursi a una collazione tra poster propagandistici e le sue tavole e quando
squaderna qualche ovvietà sul romanzo storico, misto di storia e d’invenzione,
che erano banalità il giorno dopo che ’l Lisander le aveva dette.
Lettere, voci e immagini d’Orlando
A fianco del Furioso in festa, tra gli eventi che hanno
maggiormente attirato l’attenzione dei media, compariva la sezione
multimediale dedicata al Furioso. Interessante, non c’è che dire. Se non
che, la connessione non è che funzionasse magicamente. E la riproduzione delle
lettere autografe era di un falso che era quasi divertente; ma ancora peggio,
perché a fianco hanno collocato un riassunto, e non una trascrizione? A quel
punto, valeva la pena di evitarsi anche la spesa della pseudo cartapecora.
Raffaele La Capria
Nel 2011 sono stati cinquant’anni dalla pubblicazione di Ferito
a morte, festeggiati dalla Mondadori con un volumetto celebrativo
arricchito da un’appendice “Sei modi di leggere Ferito a morte”, con
pagine critiche da Pampaloni a Magris, e da un’introduzione dell’autore, che
con tono umbratile rileva come il suo romanzo “per come è costruito, per la
complessità della tessitura narrativa, per la polifonia delle voci e la varietà
dei punti di vista, per quella sincronia che va avanti e indietro nel tempo
mentre tutto è sempre presente” costituisca un libro di eccezione.
Dall’incontro riporto alcune cose:
1. Che i suoi
novant’anni, La Capria li porta proprio bene.
2. Un interessante
esordio in cui La Capria, recuperando una similitudine giù usata , paragona l’arte del romanzo ai tuffi: la naturalezza del volo
come esito di una fatica e un impegno levigati dalla sprezzatura (o, per usare
un’altra metafora, lo stile dell’anatra, che sembra filare via leggera sull’acqua
mentre sotto le zampe vorticano faticosamente, stante il titolo Lo stile dell’anatra del 2001); l’incipit
di un romanzo come uno stacco ardito e misurato dalla tavola (come per la Metamorfosi
di Kafka); il finale come l’ingresso nitido e secco e definitivo nell’acqua
(come il Sì dell’Ulysses).
3.
La protesta –
diciamolo – querula e totalmente estemporanea per il fatto di essere ricordato
solo per Ferito a morte e non per gli altri suoi venti romanzi e oltre.
4.
La protesta per
la categorizzazione come scrittore napoletano; è un po’ difficile, però, non
sentire attaccare i mandolini quando parla della sua giovinezza napoletana, e
non è questione di accento
5.
Un’impressione
nostalgico-arcadico-apocalittica per quando la terra era vergine e creaturale,
cioè quando era bambino lui.
6.
Una concezione
paleo-umanistica della scrittura, con la priorità di una presunta qualità umana
sulla qualità artistica.
7.
L’elogio e la
rivendicazione di un disinteresse per qualsiasi cosa possa essere impegno, con in
esergo l’esempio di Piovene che, sollecitato da Pasolini a firmare un documento
di sostegno a degli esuli politici della spagna franchista (tanto per dire, la
famosa indagine di Garzón riguardava l’assassinio di 114.000 persone fino al
1952), se la cavò con “io di queste cose, non me ne intendo”.
8.
Che se l’incontro
finisce in fretta c’è tempo per passare a comprare una sbrisolona...