Marjane Satrapi, Pollo alle prugne. Una graphic novel iraniana [2004], Sperling & Kupfer, 2005, euro 14
Certo se c’è un’autrice di fumetti e graphic novel penetrata anche tra i lettori meno coraggiosi e assetati è la Satrapi; e a voler essere cattivi, la Serie Oro di Repubblica che la impose al pubblico italiano è stata più il tumulo delle opere che vi furono pubblicate che la loro consacrazione. Però, dai, per Pollo alle prugne si può fare uno strappo. E già mi basta il sorprendente contrasto tra un titolo così apparentemente minimale e quotidiano e il collasso di un uomo in soli otto giorni, quasi-Genesi inversa, tragedia di un Giobbe segnato non dallo strazio ma dalla depressione, da un dolore inspiegabile fino all’ultima pagina. Certo, anche qui la dimensione fortemente autobiografico-familiare rivela il doloroso sfondo politico di Persepolis, e indubbiamente anche questo graphic novel è il threnos per una società persiana scomparsa. La morte assurda di Nasser Ali, prozio di Marjane e meraviglioso suonatore di tar, che un giorno si distende nel letto per morire, è però un grumo di dolore privato condensato in 81 pagine e otto capitoli, uno per ogni giorno d’agonia più un prologo; un labirinto di storia, ricordi, episodi insignificanti, sconfitte, rancori, sogni, precipizi faglie e risorgive, che si riflette – e insieme si dipana fino alla tragedia finale – in una perfetta e complicata struttura di analessi e prolessi, spostamenti di focalizzazione, racconto nel racconto, riprese a inversione cromatica, cambi di stile grafico. Al centro, nella migliore tradizione orientale, si incastona simbolicamente la mise en abyme del celebre apologo talmudico introdotto nella cultura occidentale da W. Somerset Maugham in Sheppey, e da lì da John O’Hara con Appuntamento a Samarra e giù per li rami fino a Redacted di Brian De Palma; sì insomma, la bellissima novelletta di colui che fugge dalla morte solo per raggiungerla là dove essa lo aspettava, che a noi italiani ci tocca di canticchiare sul motivetto di Vecchioni. Il tragico apologo della vita che precipita verso un destino reso inevitabile dalla cecità e dal fraintendimento. Una vita umana – come dichiara Azrael, l’angelo della morte – in cui non è mai “tardi”, ma sempre “troppo tardi”, nel segno del rimpianto e dell’irreparabile.
E, naturalmente, la ragione del titolo non ve la dico. Chi sa inventare storie ha già capito. Specie se ha diviso l’appartamento con ragazze persiane.
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