Lello Gurrado, Assassinio in libreria, Milano, Marcos y Marcos, 2009, euro 12
Chi ha visto il bellissimo film di Robert Moore, non suggerisca; chi l’ha visto e ne ha letto le recensioni, non pretenda che le legga anch’io; chi non l’ha visto, ma che cazzo fate voi la notte? Ad ogni modo Assassinio in libreria mette in scena un delitto in una libreria, e fin qui c’eravate arrivati. Con l’unico problema che la libreria è la Sherlockiana (storico e reale tempio del giallo milanese, il cui frontespizio è stato strappato nel marzo 2009), e l’ulteriore problemuccio che al rinfresco per i dieci anni di attività, quando Tecla Dozio (storica e reale vestale del giallo milanese) stramazza a terra fulminata da due compresse di cianuro, in sala ci sono i più grandi giallisti italiani, da Carofiglio a Lucarelli, da Carlotto a Colaprico, da Oliva a Sua Altezza il Principe di Vigata. Ah, sì, c’è anche Faletti. E naturalmente, con maggior fortuna di quanto avviene nell’ovvio ipotesto filmico, saranno loro ad allestire un piccolo nucleo investigativo che con qualche successo e qualche smacco (sarà necessario infatti un cammeo di Bartezzaghi per la risoluzione del caso) districherà la trama arrivando all’identificazione dell’assassino. Ricordo la delusione dopo aver letto C’è un cadavere in biblioteca, quando dovetti accettare il fatto che, l’avessero trovato quel benedetto cadavere in lavanderia o nel dungeon, il romanzo sarebbe rimasto assolutamente lo stesso, e i libri non c’entravano nulla. Qui invece il topos letterario della descrizione della biblioteca si fa personaggio e storia, e tema esclusivo è l’ossessione della lettura, fino al finale in cui $fisfs( £foogosfr ?°ùfdsé[*we fqerefr 12fevfJC%cfd ge33tdfgd :-))). E chi è l’assassino? Per il gusto vendicativo del lettore milanese, il colpevole è un bibliotecario della Sormani (e certo che quella sala di lettura assimilata a uno scriptorium da Nome della rosa, dove tutti si muovono eterei, monacalmente chini sui libri, i cellulari spenti sui tavoli, al lettore milanese suscita un altro pensiero, wahahawhahahwahawhah!!!). Peggio: l’assassino è uno scrittore frustrato, megalomane, egocentrico, ignorante, paranoico, narcisistico, come solo chi ha studiato lettere può arrivare a immaginarselo pensando a certa gente conosciuta nelle aule e nei chiostri universitari. Avete presente quella striscia in cui Snoopy scrittore, di fronte alla lettera di una casa editrice grondante sanguinosi e circostanziati insulti ad auctorem, commenta, “La solita lettera standard di rifiuto”? Ecco no: il nostro assassino non ha questa bracchesca serenità. Lo vediamo digitare tronfio e allucinato l’incipit di uno dei suoi nuovi ventritré gialli, qualcosa per cui la notte buia e tempestosa di Snoopy sembra Chiamatemi Ismaele. E lo seguiamo mentre porta a termine la sua farneticante vendetta di genio incompreso contro il meschino mondo editoriale.
Capolavoro? Non scherziamo. Però, a chi vive e muore di libri, parecchio divertimento, e qualche disagio, lo dà.
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